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Rubrica: Risponde il teologo

21 Novembre 2007

Qual è il compito del testimone di nozze?

di Archivio Notizie

Ho seguito sui giornali la vicenda del parlamentare Vladimir Luxuria, a cui inizialmente era stata negata la possibilità di fare da testimone al matrimonio di una parente, e che poi invece ha potuto farlo. Sinceramente sono rimasto sconcertato. Come può fare da testimone uno che non crede nel matrimonio? Non si tratta, sia chiaro, di un problema di omosessualità, ma di valori in cui una persona crede.

Giovanni Savini

Risponde padre Valerio Mauro, docente di Teologia SacramentariaIl 7 novembre dell’anno in corso, il Corriere della Sera (citando una sola delle fonti) riportava la notizia dalla quale è nato l’interesse del lettore. Al di là della questione in merito, il risalto dato dalla stampa, a questa come ad altre notizie, dipende più da interessi collaterali che dai valori in gioco. Vladimir Luxuria è un personaggio pubblico, membro del nostro parlamento e protagonista in varie occasioni di interventi e gesti che hanno avuto grande risonanza. La domanda del lettore, invece, nasce da un interrogativo più legato alle espressioni concrete della nostra fede, quando viene ad essere vissuta e celebrata in modo pubblico e ufficiale. Probabilmente noi tutti abbiamo in mente il modello tradizionale del padrino, persona importante nel rito del battesimo e della cresima, e verso la quale, suppongo, sia stato istintivo ricalcare la figura del testimone delle nozze. Si tratta, invece, di due realtà diverse.

La figura del padrino è prettamente liturgica e affonda le sue origini nei primi secoli della storia cristiana. Testi liturgici autorevoli come la Tradizione apostolica (degli inizi del III secolo) ne danno testimonianza. Della necessità dei testimoni alle nozze, al contrario, se ne parla solo dal XVI secolo e per motivazioni completamente differenti. La riflessione teologica cattolica sul matrimonio individua il suo cuore nel mutuo consenso che si scambiano gli sposi. L’abbiamo ricordato su queste pagine proprio poco tempo fa. La Chiesa, pertanto, riconosceva come autentici matrimoni anche quello scambio di promesse coniugali che avveniva nel segreto, tra i due sposi soltanto, per motivi particolari, quando non si voleva dare risalto pubblico all’unione sponsale. Ovviamente, una tale cerimonia risiedeva sulla parola di entrambi gli sposi ed era facilmente rinnegabile, con conseguenze dolorose, non solo per la parte più debole (quasi sempre la donna) ma anche per tutti coloro che ne erano coinvolti (dai figli non riconosciuti al popolo che subiva le violenze di guerre per la successione ai vari titoli nobiliari).

Durante il Concilio di Trento, la Chiesa intervenne ponendo termine a questa situazione. Con un famoso decreto, detto Tametsi, (Quantunque…) dall’iniziale parola latina, la Chiesa, pur riconoscendo la validità dei cosiddetti matrimoni clandestini, stabiliva che, dalla pubblicazione del decreto, i battezzati che volessero sposarsi erano vincolati a farlo alla presenza del parroco e di due o tre testimoni. La presenza del testimone alla nozze, dunque, non ha lo stesso valore della figura del padrino nel battesimo. Non si tratta, cioè, di un garante della ecclesialità del rito e della volontà dei due si sposarsi secondo le intenzioni della Chiesa. Questa figura è ricoperta dal parroco del luogo dove si celebrano le nozze ed eventualmente dal sacerdote che le benedice. Alcuni canonisti, in questo caso, parlano per il sacerdote di «testimone qualificato». I testimoni degli sposi sono soltanto coloro che devono attestare dell’avvenuta celebrazione e del modo con cui i due sposi si scambiano le promesse matrimoniali.

Alla luce di tutto questo, il signor Vladimir Luxuria aveva i titoli sufficienti per essere testimone alle nozze del suo parente, perché non gli era chiesto molto di più che essere consapevole di quello che stava accadendo materialmente. La decisione finale, dunque, è del tutto legittima e doverosa: non vi erano ragioni per negargli la presenza come testimone alle nozze. A mio parere, in questa come in situazioni simili, dove non sono in gioco i valori della fede, ma si tratta al massimo di una mera convenienza, sarebbe meglio accondiscendere ai desideri e alle scelte delle persone, chiedendo solo che tutti i partecipanti abbiano un contegno adeguato al senso religioso della celebrazione. Ma questo discorso deve valere per tutti, dai fotografi agli amici o parenti, di qualunque estrazione sociale siano e qualunque sia la loro figura pubblica.

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