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Rubrica: Risponde il teologo

26 Settembre 2004

Come si combatte l’analfabetismo religioso?

di Archivio Notizie

Caro don Piero,da un’indagine dell’Eurispes risulta che la stragrande maggioranza degli adolescenti italiani dichiara di essere cattolico e di credere in Dio ma solo il 27 per cento di essi partecipa regolarmente alla Messa domenicale. Come genitore mi sono posto il problema dei motivi per cui tanti ragazzi si allontanano dalla pratica religiosa. Forse uno dei motivi potrebbe essere anche quello espresso recentemente da un lettore su Famiglia cristiana: «C’è un nuovo termine che fa paura: il nozionismo. E, cosi, per sfuggirlo si evita di insegnare anche i più elementari rudimenti di dottrina cristiana. Ad esempio: se invece di spiegare il vero significato della Messa, mi limito a dire che è un incontro gioioso della comunità, e via di questo passo, è chiaro che il ragazzo, dopo un po’, mi dice che a Messa non si diverte per niente». Un numero sempre maggiore di ragazzi, a poca distanza dalla cresima, dice: «Ma dove sta scritto che bisogna andare a Messa la domenica? Se faccio una gita in montagna e rivolgo il mio pensiero a Dio, non è lo stesso?» Se c’è una cosa che mi addolora profondamente è vedere con quanta disinvoltura si trascura l’istruzione religiosa.«Istruire gli ignoranti» è un’opera di misericordia. Da dove viene questa «volontà» di tenere il popolo cristiano nell’ignoranza? Se è vero che non basta conoscere perfettamente la dottrina cristiana per essere cristiani, credo che sia altrettanto vero che non si può essere buoni cristiani se non si sa nulla del cristianesimo. Voglio sperare che anche i Parroci, catechisti, educatori dei campi scuola ecc. riflettano su questo.Vinicio Degli Innocentirisponde PIERO CIARDELLAL a lettera del signor Vinicio affronta un aspetto realmente problematico della catechesi, e più in generale della comunicazione del vangelo, che potremmo, per brevità, indicare con il classico binomio del rapporto tra fede e sapere. In quale misura l’ambito del sapere (inteso come «i rudimenti della dottrina») influisce sulla dinamica della fede? Questo è ciò che è nuovamente messo in gioco dall’accorata riflessione dell’autore della lettera. Non si può non condividere l’analisi che evidenzia un «crescente analfabetismo religioso» – come lo definisce il documento Comunicare la fede in un mondo che cambia -, che per altro non è esclusiva prerogativa delle giovani generazioni, ma interessa a pieno titolo anche gli adulti, che pure sono passati attraverso una catechesi fortemente nozionistica. È un aspetto della più preoccupante perdita della «memoria cristiana» a cui stiamo assistendo con dolorosa impotenza anche nel nostro paese che pure vanta radici profondamente cristiane. Sommato a questo fenomeno, l’autore della lettera allude giustamente al fatto della diminuzione della frequenza all’Eucarestia e l’imporsi di una mentalità e di modelli di vita distanti dal Vangelo. Questa mutata situazione culturale chiede di essere accolta in tutta la sua problematicità, perché di certo chiama la Chiesa a rivedere il modo con cui deve assolvere il suo compito di annunciare il Vangelo e di aiutare quanti l’hanno accolto, a maturare la propria scelta di fede.

Di fronte a questo impegno la soluzione del signor Degli Innocenti, mi sembra onestamente riduttiva. Invocare un ritorno al «nozionismo» non conduce – e il passato dovrebbe insegnare – alla riscoperta della fede, e questo per diversi motivi. Il primo fra tutti è che la fede non scaturisce dal sapere, anche se la fede si alimenta e cresce anche grazie ad esso. Per cui l’ignoranza non è la causa della mancanza della fede, ma ne è un effetto. La maggior parte dei ragazzi e degli adolescenti che incontriamo al catechismo sono disorientati da una cultura che non offre loro punti di riferimento, e sempre più spesso sono vittime degli insuccessi esistenziali e affettivi degli adulti. A questi noi ci illudiamo di suscitare l’interesse per Dio inculcando in loro un sapere, magari sotto minaccia: «Se non sai.. non ricevi il sacramento». Oggi, più che un tempo, non si può pensare una comunicazione della fede ai giovani senza tenere conto di chi si ha davanti, dei problemi, delle reali domande e delle implicite richieste di aiuto che da essi provengono. Spesso, però, le nostre comunità sono impreparate a dialogare con i giovanissimi e giovani, incapaci di accoglierli per quello che sono senza pregiudizi e attese troppo alte, e di testimoniare un cristianesimo vivo, gioioso e carico di speranza.

Tutto questo mi sembra oggi prioritario nella comunicazione della fede, rispetto ad una trasmissione «forzata» di contenuti. Verrà anche per loro il momento di conoscere e di imparare, ma solo se troveranno che il messaggio cristiano può realmente significare qualcosa di importante per la loro vita.

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