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Rubrica: Risponde il teologo

27 Aprile 2004

Tutte le generazioni la chiameranno beata

di Archivio Notizie

di Luigi M. De Candido«Tutte le generazioni mi diranno beata» (Luca 1,48b). Effettivamente da allora l’appellativo «beata» elevato a Maria è incessante e universale. Beato è chi sta nella gioia e nella felicità, chi è fortunato e benestante, sereno e tranquillo e molto buono. La prima più facile interpretazione dell’aggettivo mariano «beata» si basa sulle folte modalità di culto e di devozioni mariane. Gioia, entusiasmo, stupore, gratitudini, euforie, libere fantasie costituiscono la miriade di fioriture sbocciate da quella parola autobiografica «beata». Un criterio per calibrare nella veracità quell’attributo «beata» sono altre parole autobiografiche contestuali di Maria medesima.

La sua anima magnifica il Signore ed il suo spirito esulta in Dio proprio salvatore perché ha guardato l’umiltà della sua serva. Dunque, il motivo consapevole della propria beatitudine presente e del riconoscimento futuro del proprio essere «beata» sta nella sua esperienza di Dio scoperto come proprio salvatore perché ha prestato attenzione precisamente a lei donna semplice e povera di fronte a lui ma verso lui disponibile: beata perché umile serva.

Tale situazione colloca Maria nel novero dei discepoli di Gesù. La sua consapevolezza di siffatta discepolanza va via via maturando. Tuttavia è rilevante quella iniziale intuizione del proprio essere «beata», cioè di stare sulla soglia della discepolanza evangelica. Dopo di lei, altre voci – significativamente pur esse femminili – le riconosceranno non solo un titolo ma una identità di «beata». Elisabetta, pure lei madre per dono di Dio, ispirata dallo Spirito santo, confida a Maria appena entrata nella sua casa: «beata tu che hai creduto all’adempimento delle parole del Signore». Quella certezza è beatitudine personale, ossia gioia e tranquillità per l’oggi e il domani.

Un’altra donna, verosimilmente madre anche lei e addirittura affascinata dalla personalità e dalle parole del figlio di Maria, non esita ad esclamare tra la folla all’indirizzo di Gesù: «beata tua madre». Costei intuisce la fortuna, la gioia, la beatitudine della donna privilegiata da tale figlio. Affiancate le due parole «beata» – quella autobiografica e quella della donna anonima – illuminano e rivelano la reazione di Maria con Gesù: gioia, grazia, beatitudine inestinguibile talmente che nemmeno la croce ha sospeso e tanto meno annullato: Maria resta beata anche nel dolore che la pervade sotto la croce del figlio, appuntamento conseguente alla sua disponibilità ad assecondare la parola di Dio quale serva fedele.

Ed è proprio Gesù stesso che definisce la qualifica del «beato»: ed è chi ascolta la parola di Dio e la mette in pratica. Costoro sono i discepoli: «beati voi…». Beato è sinonimo di discepolo dell’evangelo: evangelo come messaggio e parola, evangelo come presenza del Cristo parola di Dio visibile nella carne. Gli stessi ripetuti aggettivi «beata» individuano Maria come discepola dell’evangelo: l’evangelo come messaggio perché custodiva in cuore eventi e parole che concretavano il progetto di Dio, l’evangelo come presenza perché il Verbo di Dio si è fatto carne nel suo grembo materno.

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