Cattolici protagonisti, contributi di idee verso l’assemblea del 17 marzo

In vista dell’incontro regionale «Cattolici protagonisti», abbiamo chiesto alcuni contributi di idee. Ecco le esperienze dell’Azione cattolica regionale (Progetto Cittadinanza) e del Collegamento sociale cristiano e i contributi di Andrea Garulli, don Antonio Cecconi, Leonardo Bianchi, padre Stefano Piva, Stefano Bioni, Enrico Fiori. Abbiamo anche raccolto le voci di tre consiglieri regionali (Stefania Fuscagni, Nicola Danti e Marco Carraresi) e dell’assessore regionale Gianni Salvadori.Il «Progetto cittadinanza» dell’Azione cattolica

Il Concilio definisce il fine della Chiesa: non politico ma religioso. «La missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa, non è d’ordine politico, economico e sociale: il fine che le ha prefisso è d’ordine religioso» (Gaudium et Spes, n. 42 b). Da qui discende la «scelta religiosa» dell’Ac operata, sotto la guida di Franco Costa e Vittorio Bachelet, dal nuovo Statuto del 1969. Se è vero che il fine della Chiesa è specificamente religioso, è però altrettanto vero che la vita dei credenti non si svolge tutta quanta sul terreno ecclesiale, ma anche su quello più vasto della società politica (vedi la Lettera a Diogneto, dove si dice che i cristiani non vivono in città loro proprie). Da qui nasce la questione della «mediazione» tra le due comunità (ecclesiale e politica), che il Concilio affida soprattutto ai laici illuminati dalla propria scienza e coscienza, e attraverso il discernimento comunitario esercitato all’interno del Popolo di Dio guidato dai Pastori. L’Ac persegue queste finalità attraverso la formazione delle coscienze, in modo che una matura coscienza cristiana sia in grado di interpretare anche le esigenze di una matura coscienza civile. A questo scopo ha avviato in Toscana, a partire dal 2003, un itinerario di riflessione e proposta chiamato «Progetto Cittadinanza». Il 15 aprile, nel decennale, ci sarà a Firenze un incontro regionale delle associazioni diocesane di Ac per riflettere sul tema «Economia familiare e nuovo stili di vita». Mi pare un modo significativo di partecipare all’itinerario delle Settimane sociali dei cattolici toscani che inizia a Firenze, per poi trovare nelle realtà locali efficaci e motivati itinerari di attuazione. Ripartire dal sociale significa infatti rivitalizzare, a partire dalla comunità familiare, la rete delle solidarietà, proponendo stili di vita alternativi rispetto a forme vecchie e nuove di individualismo.

Paolo NepiDelegato regionale dell’Azione CattolicaDa «Supplemento d’anima» al «Csc»

Circa 40 anni fa è nato a Fiesole un movimento informale finalizzato a sostenere l’impegno spirituale dei politici (che ha poi dato vita a un periodico: «Supplemento d’anima»). Un movimento ancora conosciuto e intorno al quale si è strutturata una associazione con lo stesso nome per organizzare incontri su temi ispirati alla dottrina sociale della Chiesa. Da questa prima esperienza, sostenuta e animata da mons. Gastone Simoni, Vescovo di Prato, nel 2001 ha preso origine il «Collegamento Sociale Cristiano» (Csc), con l’intento di favorire il dialogo fra i cattolici di vario orientamento politico e di svolgere attività di formazione e di approfondimento, con particolare attenzione al mondo giovanile, sulla ricca documentazione in materia sociale e politica prodotta dal Magistero ecclesiale. Nel giro di pochi anni hanno aderito al Csc numerosi gruppi o singole persone in diverse regioni italiane. Dal 2007 il Csc ha assunto la struttura di associazione formalmente costituita. Si tratta di un movimento sorto dal basso, alieno da qualsiasi finalità partitica ed esclusivamente orientato alla formazione sociale e pre politica. Partendo dalla constatazione che esistono in Italia numerosi gruppi o associazioni non collegati alle grandi organizzazioni del modo cattolico e finalizzati allo studio della dottrina sociale della Chiesa, il Csc, in collaborazione con la Fondazione «Toniolo» di Verona, l’«Istituto Sturzo» di Roma e altre organizzazioni, ha elaborato un documento denominato «Carta d’intesa» al quale hanno già aderito numerosi gruppi impegnati nella pastorale sociale e nella formazione pre politica dei giovani. Con questo documento che richiama, attualizzandoli, i punti fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa, i promotori intendono favorire la formazione di reti relazionali fra le varie organizzazioni che studiano e diffondono la dottrina sociale nell’intento di contribuire, senza mai sostituirsi, alle attività di pastorale sociale delle Diocesi, eventualmente integrandole. Si tratta quindi di un movimento ricco di iniziative, magari piccole ma diffuse, che fa bene sperare anche per la crescita di «una nuova generazione di cattolici impegnati in politica».

Angelo PassalevaPresidente Collegamento sociale cristianoLA FORMAZIONE

La crisi della politica è realtà con cui tutti i cittadini sono chiamati a confrontarsi. I partiti non svolgono più il ruolo di catalizzatori delle grandi spinte ideali del Novecento. All’orizzonte non si intravedono forze che possano promuovere il bene comune mediante progetti di largo respiro.

Queste difficoltà si acuiscono a livello dei singoli territori: gli amministratori locali sono chiamati a inventare giorno per giorno una nuova politica, in molti casi senza avere solidi punti di riferimento.

In questo contesto, è evidente che la formazione deve tornare ad assumere un ruolo centrale, seppure in forme nuove e in grado di rispondere alle sfide poste da scenari socio-economici in continuo divenire.

Il laboratorio di formazione sociale e politica “Osare il coraggio della speranza”, organizzato dalla associazione Oikein, con il patrocinio della Diocesi di Fiesole, è un piccolo ma ambizioso tentativo di dare una risposta a queste esigenze.

A partire dall’ottobre 2011, una quarantina di ragazzi, provenienti dalle varie realtà territoriali della diocesi, con la supervisione di alcuni esponenti dell’associazionismo cattolico, hanno intrapreso un percorso di formazione che si articola in due attività parallele.

Da un lato un ciclo di incontri collegiali animati da relatori di diversa estrazione culturale, il cui compito è quello di analizzare un particolare aspetto dell’agire politico (per fare soltanto due esempi: padre Francesco Maria Bernardo, abate di San Miniato, ha trattato il problema dell’ascolto e della ricerca come fondamento dell’analisi socio-politica; il procuratore generale di Firenze, Beniamino Deidda, ha parlato degli strumenti di valutazione di cui un politico deve dotarsi per poter incidere sulla realtà in  cui opera).

Contemporaneamente, sono stati costituiti gruppi territoriali, nell’ambito dei quali i ragazzi hanno scelto un tema da affrontare nell’intero arco della durata del laboratorio, utilizzando e mettendo in pratica gli strumenti discussi in precedenza.

Visto l’interesse riscontrato in questa prima edizione, l’associazione Oikein intende riproporre il laboratorio anche nei prossimi anni, allargando lo spettro delle tematiche al contesto nazionale ed europeo. La speranza è che questa esperienza di formazione collettiva stimoli il desiderio delle nuove generazioni a impegnarsi in prima persona, con coraggio. O meglio: con il coraggio della speranza.

Andrea Garulli FiesoleCLERO E LAICI, OGGI

Per sperare in una “nuova generazione di laici cristiani” capace di intelligenza politica pulita e generosa, credo si debba ripartire dal n. 43 della Gaudium et Spes: “Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, (i laici) escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e le realizzino. Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della comunità terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta o che proprio a questo li chiami la loro missione: assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del magistero”.

Noi preti – ma penso anche i vescovi – dobbiamo metterci nelle condizioni mentali e pratiche per riconoscere effettiva “autonomia” (parola che non fece paura al Vaticano II) ai laici credenti, affinché esercitino le competenze e responsabilità loro proprie in quanto cittadini. Limitandoci a rifornirli di “luce e forza spirituale”, e coltivando un’idea di chiesa in cui il battezzato che ha le mani in pasta nella politica e nel sociale non conta meno del catechista o dell’animatore liturgico. Preoccupandoci di promuovere l’impegno politico come servizio all’intera comunità, non come lobby dei cattolici o delle istituzioni ecclesiastiche.

Si potrebbe cominciare a fare qualcosa nelle parrocchie: mettere intorno al tavolo i laici interessati alla realtà socioeconomica, confrontarsi sui problemi della gente e cercare collaborazione critica con le istituzioni civili del territorio. Lì confrontarsi sul bene comune, le radici cristiane, i “valori non negoziabili” nella versione più ampia (anche la pace, anche l’opzione preferenziale dei poveri!) tra cristiani di sensibilità diverse.

Il parroco non avrebbe da fare molto più che meditare insieme con questi laici la Bibbia e il magistero, e fare memoria storica di chi ha saputo incarnare la fede nelle cose sociali. Senza dimenticare l’importanza e l’urgenza di trasmettere ai giovani la passione per questo cose.

don Antonio Cecconi Pisa   LA CASA COMUNE

Il contributo degli esponenti cattolici (tra i quali i toscani – La Pira, Fanfani, Piccioni, Zoli, … – furono protagonisti) alla scrittura della Costituzione fu decisivo nel delineare la forma di Stato. Quel contributo concorse in maniera determinante alla definizione delle finalità che lo Stato – che non può essere neutro arbitro tra categorie e poteri forti, né mera espressione della maggioranza pro tempore in carica – deve stabilmente perseguire. Ciò sia con riferimento alla elaborazione e allo sviluppo del principio personalista cristiano sia per l’applicazione del principio pluralistico nel sistema delle autonomie.

Per l’efficacia dell’opera dei Costituenti cattolici, particolarmente incisiva – oltre che l’esperienza del CTLN – risultò la XIX Settimana sociale dei cattolici italiani dedicata a “Costituzione e Costituente”, svoltasi a Firenze dal 22 al 28 ottobre 1945.

Centrale la relazione del cardinale Elia Dalla Costa, arcivescovo di Firenze, che proponeva il cristianesimo come fede “che abbia per programma la guerra implacabile all’egoismo umano”: si raccomandava la conservazione dell’ispirazione cristiana nella Costituzione, per la persona così come per la famiglia, ma anche in quanto “generatrice magnifica delle più alte virtù sociali” e si sottolineava che “accanto ad un diritto è sempre un dovere”.

La centralità della persona umana informa di sé tutta la parte dedicata ai principi fondamentali, dai diritti inviolabili dell’Uomo ed i doveri inderogabili, al riconoscimento ed alla protezione e promozione delle comunità intermedie a partire dalla famiglia, al principio di eguaglianza come fonte del compito repubblicano di rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale oltreché come divieto di discriminazioni, al principio lavoristico (che muove dall’art. 1 nella formula di mediazione individuata da Fanfani) come fonte di un diritto – dovere al lavoro. Il personalismo comunitario cristiano, tuttavia, incide con efficacia anche sulla parte dedicata all’organizzazione costituzionale (si pensi alla Corte costituzionale ed alle autonomie territoriali), muovendo dalla nitida concezione lapiriana per cui “non l’Uomo è fatto per lo Stato, ma lo Stato è una costruzione giuridica, che ha fondamenti naturali, fatta per l’Uomo”, e su quella sui rapporti economici, di buona parte dei quali sono stati inopinatamente interrotti i sentieri dell’attuazione, nonostante la loro perdurante attualità, anche nel contesto europeo.

Né va dimenticato che la formulazione dello stesso art. 7, che disciplina i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica viene fuori dalla traduzione da parte di Mons. Montini, presentata da La Pira, di un passo dell’Immortale Dei di Leone XIII.

Emerge, dunque, un preciso impegno dei Costituenti cattolici, a partire da quelli toscani, condotto insieme agli altri Costituenti,  nell’individuazione della solida roccia e nell’edificazione della Casa comune che vi poggia ancora oggi: un impegno allora avvertito come un vero e proprio dovere morale che dà, proprio per questo, attuale motivo di riflessione e di azione all’operatore della vita pubblica di oggi che intenda rendersi testimone della Speranza.

Leonardo BianchiFirenze AMBIENTE E STILI DI VITA

Nella lettera apostolica Novo millennio ineunte (51), Giovanni Paolo II scriveva “I cristiani non possono rimanere in disparte di fronte al profilarsi di un dissesto ecologico”. A distanza di oltre 10 anni, bisogna dire che purtroppo all’interno delle comunità ecclesiali non è ancora maturata la coscienza di poter – e dover – essere protagonisti anche nel campo delle problematiche ambientali.

Il risultato di tale indifferenza è che questo ambito è diventato ormai appannaggio di organizzazioni che tendono ad avere una visione panteistica e neopagana di quella realtà che per noi è la natura, frutto della creazione di Dio ed espressione di un disegno di amore e verità”.

Il versante opposto, d’altra parte, è costituito da un approccio utilitaristico e materialistico dell’ambiente: si ignora che la natura reca “in sé una grammatica che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario” (cfr Caritas in Veritate 48).

La riflessione teologica sulla creazione in rapporto con le scelte ecologiche, ha certo fatto grandi passi negli ultimi decenni sviluppando anche un fecondo dibattito ecumenico, ma permane una difficoltà a coglierne implicazioni concrete e soprattutto a farne oggetto della pastorale ordinaria.

E’ quindi urgente recuperare il tempo perduto con la consapevolezza di avere di fronte un campo privilegiato di evangelizzazione: la visione cristiana del creato, basata un una precisa antropologia, da un lato apre ampie prospettive per nuove politiche economiche, sociali e di sviluppo e dall’altro può offrire indicazioni concrete per scelte di tutti i giorni fatte all’insegna della responsabilità, del cambio di mentalità. E di nuovi stili di vita.

Padre Stefano Piva, monaco di Siloe IL LAVORO

Ragionare sul lavoro chiede di considerare molti aspetti. Intanto non è vero che manca il lavoro. E’ una eresia, è una ipocrisia dire che non c’è lavoro. Nostro Signore non ci ha lasciato senza lavoro: basta pensare, ad esempio, alla indispensabile e indifferibile messa in sicurezza del territorio nazionale, alla necessità di intervenire su una edilizia scolastica disastrata.

Gli esempi sono senza numero e sotto gli occhi di tutti quotidianamente: interventi che possono diventare “cantierabili” subito. Questo è lavoro, questa è occupazione. Per le risorse basterebbe recuperare e destinare a questo, ad esempio, le decine di miliardi che ogni anno assorbe il gioco d’azzardo promosso da uno “Stato biscazziere” che compromette così anche la sua natura etica ed educativa.

Ma si è creata una frattura tra il denaro, il suo uso, l’avidità di profitti senza limiti e il lavoro. Non è un caso se le soluzioni prospettate alla possibile uscita dalla crisi si accentrano su questo e sui suoi derivati sociali (pensioni, sanità, scuola); ogni ricetta più o meno intelligente o fantasiosa si fissa nel rimodulare questa quasi unica variabile. E dunque: flessibilità esasperate, precarizzazioni selvagge, libertà di licenziare. Così si licenziano i padri, si alza l’asticella dell’età pensionabile, si precarizzano sempre più i figli. E’ questa la nuova civiltà economica dello sviluppo?

E gli ammortizzatori, gli assegni di disoccupazionechi li paga? Non gravano forse anch’essi sulla fiscalità generale?Così si preferisce retribuire il non lavoro piuttosto che il lavoro,  ma quanta malafede e ipocrisia è di scena.

E poi si diffondono tanti ingiusti luoghi comuni e pregiudizi: la maggioranza dei giovani non è fatta di “bamboccioni” o non disponibili a qualsiasi lavoro, basta osservare le statistiche e vedere quanti giovani ad alta scolarizzazione svolgono ogni giorno mansioni precarie a bassa qualifica.

La vera urgenza è la redistribuzione della ricchezza in un Paese ineguale. Senza clausole sociali e senza un nuovo patto tra le generazioni si crea solo miseria. A cominciare dall’evidenza di una crisi che riguarda, prima della finanza, la concezione dell’essere umano e della sua dignità inalienabile. Il fondamento della “casa comune”.

Stefano Biondisindacalista Cisl  SOLUZIONI NUOVE

Il modello che ha prevalso in questi anni va sotto il nome di neoliberismo e porta con sé, come elemento strutturale la creazione di profonde diseguaglianze: si massimizzano i profitti, si fanno ristagnare salari e stipendi, si smantella lo Stato Sociale, si elabora una innovazione finanziaria selvaggia, si creano questioni ambientali dirompenti.

Questa crisi non è un incidente di percorso, ma lo sgretolamento di un intero modello di sviluppo che ha accumulato gigantesche contraddizioni: siamo di fronte ad un passaggio cruciale simile al crollo dell’Impero Romano, che non rappresentò solo un mutamento di strutture materiali della società, ma fu un vero e proprio tornante della Storia.

Prima di tutto è necessaria una profonda riflessione su ciò che è stato fatto in questi anni: non si esce da questo frangente senza capire gli errori commessi e, di conseguenza, si cerca di cambiare strada, si opera una conversione.

Contro la crisi occorre rafforzare gli anticorpi culturali: come nel passaggio tra l’Antichità e il Medioevo, furono i monaci benedettini a salvare i tesori della civiltà copiando manualmente i libri antichi, la nostra prima missione deve essere quella di salvare i tanti giacimenti culturali della nostra società. Come ACLI stiamo affrontando la stagione congressuale all’insegna del tema Rigenerare comunità per ricostruire il Paese, per indicare che una comunità ha bisogno di valori, idee e beni comuni, ossia da condividere.

Ogni comunità umana, piccola o grande, per esistere ha bisogno di un tessuto comune, di una serie di elementi che legano tutti i membri della comunità e il cui godimento interessa tutti: siamo eredi di una civiltà in cui, durante il Medioevo, i boschi, i pascoli e le sorgenti venivano regolamentati negli statuti comunali. La fase della crisi economico-finanziaria mostra l’urgenza, non tanto di rilanciare una domanda di beni tradizionali, riaggiustare il giocattolo e riprendere a fare come prima, ma di stimolare una domanda di beni nuovi, legati ai bisogni sociali, alla conoscenza, all’ambiente, alle energie rinnovabili: economia sostenibile e beni comuni possono rappresentare delle occasioni di sviluppo economico.

E, del resto, è proprio papa Benedetto XVI, nella Caritas in Veritate, a sottolineare l’esigenza di sperimentare soluzioni nuove.

Enrico Fiori, presidente Acli Arezzo Più che un partito, testimoni nel campo della politicaDalla crisi in atto uscirà sicuramente una società diversa, se migliore o peggiore dell’attuale dipenderà anche dell’impegno dei cattolici. Un impegno che parte dall’esperienza straordinaria che il variegato mondo cattolico svolge già e al quale oggi è chiesto un supplemento di lavoro e di presenza anche per il fatto di essere rimasto fra le poche realtà radicate e diffuse sul territorio. L’emergenza educativa dei giovani, le nuove povertà, l’accoglienza e l’integrazione delle popolazioni immigrate con particolare attenzione alle seconde generazioni, così come le nuove necessità a sostegno delle famiglie, rappresentano alcune sfide nelle quali il laicato cattolico può essere quel lievito per una società più giusta. Vi è poi l’opportunità che nasce dalla crisi della finanza pubblica e dal progressivo ritiro delle istituzioni da servizi ritenuti ormai essenziali per molta parte della popolazione. Nella scuola, nei servizi di cura e di assistenza alle persone bisogna essere pronti a dare le risposte la dove queste vengano meno in forte raccordo con le istituzioni e le comunità locali. Da questo punto di vista la crisi della finanza pubblica può indurre ad una nuova sussidiarietà orizzontale e alla quale i cattolici possono dare un contributo di organizzazione ma soprattutto di stile e di valori. Infine vi è il ruolo diretto dei cattolici nell’ambito della vita politica. Vedo che riaffiora il tema del partito cattolico, tema che non mi appassiona più di tanto. Molto dipenderà dalla nuova legge elettorale. Più che a forme organizzate di partiti credo a persone che sappiano testimoniare la propria fede nel difficile campo della politica. Mi pare un elemento di speranza se nelle parrocchie nelle diocesi si ricomincia a parlare d’impegno politico e a chiamare ad un rinnovato impegno giovani e meno giovani. A guadagnarne non sarà la Chiesa o i mondi ad essi paralleli ma il «bene comune» a servizio del quale siamo chiamati. Nicola Danticonsigliere regionale Pd Spazio di riaggregazione tendenzialmente unitariaC’è proprio bisogno di un’«agenda di speranza» per tracciare qualche linea chiara sulle prospettive di impegno politico dei cattolici. Anche in Toscana, non solo in Toscana. Solo la speranza cristiana infatti può sostenere un cammino che si avverte difficile, e spesso fatto a tentoni. Perché troppi sembrano gli ostacoli, le insidie, le meschinità, le convenienze che ci frenano. E ci frena troppo spesso una lettura di parte della situazione. Credo cioè che senza un soprassalto che nasce non solo dalla consapevolezza della gravità del momento che stiamo vivendo, ma anche dalla riscoperta di quanto fecondo e decisivo sia l’approccio cristiano alla vita, e quindi alla politica, difficilmente ne verremo fuori.Solo in un’ottica di responsabilità potremo dare risposte alla necessità di aprire strade nuove e più efficaci. Ed è giusto quindi domandarsi quale direzione prendere. Negli ultimi anni i cattolici sono stati dispersi, «per contare di più», si è detto. È questa l’unica modalità possibile? Oppure c’è lo spazio per una riaggregazione tendenzialmente unitaria, che crei un luogo di elaborazione, di confronto, di cammino comune e di comune operatività e proposta? Uno spazio che anche simbolicamente significhi rappresentanza e tensione verso un’unità, mirata non alla difesa del nostro orticello, ma caratterizzato dall’offerta di risposte concrete e impegnative di fronte agli scenari che cambiano e per i quali essere meri spettatori sarebbe un enorme peccato di omissione e di ignavia. Marco Carraresiconsigliere regionale Udc Uno stimolo ad essere «lievito» e «cemento»Il centro-destra in generale, ed il Pdl in particolare, segue con attenzione massima e discreta il «cammino» che coinvolge tutti i vescovi toscani insieme al laicato cattolico. Un cammino di speranza, ma un cammino che vuol «dettare» un’agenda. È sulla centralità dell’agenda che siamo sollecitati a dare risposte concrete. Il richiamo all’oggi che stiamo vivendo lega, in maniera inscindibile, la Chiesa e l’associazionismo a farsi «lievito» di questioni urgenti e i cattolici in politica a farsi «cemento» perché su alcuni punti si colgano risultati di merito capaci di tenere insieme i comportamenti personali e le scelte politiche. Un ringraziamento sentito per questa opportunità che ci colloca in un tempo di preparazione alla prima settimana sociale dei cattolici toscani nel maggio del 2013 in vista della 47° settimana sociale. La Toscana ci pone dinnanzi alcune sfide ancora aperte: dalle politiche familiari, alle politiche del lavoro sia circa la conciliazione tra vita familiare e questione femminile sia circa il tema dei «talenti», fino ad arrivare al tema della libertà educativa. Rimane aperta, poi, la partita delle riforme anche in sede regionale che, a mio avviso, deve essere segnata dalla consapevolezza di una necessaria svolta sussidiaria al di là del confronto sulle tecnicalità legate alla legge elettorale.Tanti sono gli stimoli e quindi fondamentale sarà la «bussola» per segnare la via in un confronto aperto che distingua ciò che è negoziabile da ciò che non lo è. Stefania Fuscagniconsigliere regionale PdL – portavoce dell’opposizione Il personalismo comunitario per uscire dalla «crisi»Per chi colloca al centro della progettualità politica e sociale persona e comunità, il tempo odierno offre nuove opportunità ed occasioni concrete. L’individualismo, che ha caratterizzato culturalmente e politicamente gli ultimi periodi, ha manifestato tutti i propri limiti e negatività che la crisi economica ora accentua palesemente. Vi è solo un alternativa culturale e politica: il personalismo comunitario frutto della dottrina sociale, ma anche fondamento della costituzione. Per esigenze di brevità solo alcuni campi operativi. Per rimettere in moto l’economia è necessario un credito rispondente alle attese delle imprese con tassi adeguati alle loro esigenze, questo in Toscana passa anche da una riflessione attenta sul sistema bancario, anche alla luce delle vicende MPS. Inoltre, dobbiamo aprire una discussione concreta sulla distribuzione del reddito e sui meccanismi che la possono far cambiare tentando così di uscire dall’impoverimento che si vive. Il conflitto capitale/lavoro mi sembra generalmente poco attuale e non da oggi le risposte. L’alternativa può essere rappresentata da forme di partecipazione collaborativa contrattate che diano quindi garanzie effettive. Anche questo può vedere la Toscana apripista e protagonista. A fronte della quasi scomparsa dello «State», nuove forme e modalità di protezione sociale possono realizzarsi attraverso mutualità diffusa, partecipata e democraticamente governata, costituita da parte della ricchezza prodotta dal sistema delle imprese con il contributo delle istituzioni ed un ruolo fondamentale del terzo settore nella gestione. Infine, un ringraziamento ed una richiesta alla nostra Chiesa per avere avviato e per dare continuità al progetto culturale. Gianni Salvadoriassessore regionale all’agricoltura