Cattolici protagonisti: dove e come?

di Andrea Tomasi*

In questi mesi l’Italia vive una crisi durissima, che unisce alle difficoltà dell’economia il travaglio della fine di un ciclo politico, con un affievolirsi della capacità di affrontare i problemi e con un vistoso limite culturale nel proporre soluzioni valide. I fermenti e le tensioni diffusi nelle varie forze politiche e sociali manifestano l’insoddisfazione e la preoccupazione per il futuro del Paese, e la mancanza di prospettive produce tensioni sociali che possono portare ad esiti imprevedibili e non facili da governare. Si impone una svolta, prima del baratro. Come altre volte nella storia, in questo momento difficile, si assiste ad una assunzione di responsabilità del laicato cattolico, con una forte ripresa di interesse per la politica, da farsi in prima persona, avendo preso atto che gli attuali partiti non risultano soddisfacenti (tutti i sondaggi confermano che la massima propensione all’astensionismo si riscontra tra chi si dice cattolico).

Nell’editoriale del 30 ottobre scorso Carlo Costalli (Cattolici, è finita la stagione del silenzio) delinea in maniera puntuale e convincente le caratteristiche di un progetto di protagonismo dei cattolici: con umiltà e senso di realismo offrire un contributo decisivo per superare la crisi, in forza dell’ ispirazione e del patrimonio costituito dal Magistero sociale della Chiesa, attraverso l’incontro con altre culture riformiste, per dare all’ Italia quella modernità solidale di cui il Paese ha bisogno. L’Italia politica, apparentemente bipolare, è in realtà frammentata in una pluralità di minoranze, a cui corrispondono minoranze culturali e sociali. Ma la minoranza costituita dai cattolici, se riesce a ritrovare una unità di intenti, può divenire inclusiva,  secondo l’auspicio di Costalli, cioè capace di coagulare un blocco sociale più ampio, coraggioso nell’innovare e nel dare una prospettiva di futuro alle nuove generazioni, sui temi nodali che Costalli sottolinea: la vita, la famiglia, l’impresa, il lavoro.

Dove concretizzare tale protagonismo, come rendere forte, visibile e inclusivo il cammino conseguente? Partendo dal territorio, come indica Costalli; specificamente all’interno della società civile, come richiama Dino Boffo in una intervista apparsa sul Corriere della Sera il 25 ottobre. La discussione si sposta allora sulla valutazione contingente delle condizioni storiche che ci sono date per realizzare il progetto, e le modalità per renderlo incisivo, anche riguardo alla politica, e all’azione dei partiti. E’ plausibile ritenere che gli attuali partiti siano destinati a scomporsi e ricomporsi, come sostiene Costalli, e comunque, a mio avviso, la presenza politica dei cattolici dovrà incontrare i partiti in forme nuove, perché c’è bisogno di novità in un tempo che ha cambiato il contesto in cui le vicende accadono, e non si può mettere vino nuovo in otri vecchi.

A me sembra però che i possibili modelli di riferimento siano alla fine solo quattro, e che la storia ci aiuti a valutarne le condizioni di riuscita, purché ci si confronti sulla sostanza, e non sui nomi che le forme storiche hanno assunto. 

Il primo modello, una partecipazione “esterna” dei cattolici alla vita dei partiti, con accordi privilegiati per sostenere alcune candidature individuali (come è avvenuto cent’anni fa con il cosiddetto Patto Gentiloni), risulta soddisfacente per la promozione di programmi sociali ispirati cristianamente solo in presenza di interlocutori “forti”, sia sul versante partitico che istituzionale, e di una opinione pubblica espressione del “mondo cattolico” sufficientemente compatta e radicata territorialmente, in modo tale da garantire il rispetto degli accordi stabiliti (per qualche aspetto, secondo me, ciò si è ripetuto al tempo del primo governo Berlusconi). Ma non mi sembra sia questa la situazione attuale.

Il secondo modello, la militanza di personalità e gruppi cattolici minoritari dentro partiti “laici” (l’esperienza di questi ultimi 15 anni, con la cosiddetta “diaspora” dei cattolici nei vari partiti), ritengo si possa considerare fecondo solo se i partiti laicamente rispettano il principio della libertà di coscienza, lasciando libero l’ esercizio delle funzioni di proposta e di voto. Solo se viene rispettato il diritto di esprimere il proprio essere “prima cattolici e poi politici”, chi impegna la propria fede nella militanza politica può esercitare il ruolo evangelico di “lievito nella pasta”. A me pare che il disagio dei cattolici negli attuali partiti dipenda anche dalle pesanti ferite alla libertà di coscienza inferte dal prevalere delle “ragioni di Partito”.

Il terzo modello, un partito con un programma ispirato alla dottrina sociale cristiana, guidato da cattolici e aperto “laicamente” alla partecipazione di tutti coloro che ne condividano valori e azione di governo (come è avvenuto con la Democrazia Cristiana, dato che l’esperienza del PPI di Sturzo fu troppo breve e stravolta dall’affermarsi del fascismo), pur storicamente realizzato in condizioni irripetibili, ha fondato la sua stagione migliore sulla massima libertà di coscienza concessa ai propri appartenenti, e sulla capacità di sintesi tra sensibilità culturali e politiche diverse, grazie alla guida di veri statisti e di autentici cristiani. Mi preme sottolineare l’aspetto della sintesi, che non è la semplice mediazione tra posizioni divergenti, perché nella sintesi non si perde di vista l’obiettivo finale del bene comune, a cui si cerca di avvicinarsi il più possibile, mentre tale obiettivo rischia di essere “sacrificato” nelle mediazioni, per il prevalere del principio del “male minore”. Inviterei a riflettere se proprio l’abitudine di questi anni ad adattarsi culturalmente a mediazioni con visioni antropologiche innaturali rispetto alla visione cristiana, e quindi la conseguente rinuncia a una feconda capacità di sintesi e di aggregazione di consenso intorno ai valori sociali del cristianesimo, non sia la causa di tante resistenze alla comprensione piena del Magistero sociale della Chiesa, imperniato sull’affermazione dei principi “non negoziabili”.

La quarta ipotesi, di un partito di soli cattolici, o comunque con un programma esplicitamente ed esclusivamente riferito a valori religiosi, pur teorizzato da alcuni, di fatto non ha mai avuto concretezza storica. Però mi sembra di percepire oggi la richiesta di molti proprio per un tale partito, sia pure minoritario. Forse per il fallimento storico o l’impossibilità di attuazione degli altri modelli illustrati, molti ritengono necessario, in questo frangente, un partito decisamente orientato alla proposizione pubblica dei principi del Vangelo, intesi come capaci di promuovere il bene dell’uomo e di tutti gli uomini (rileggendo la Gaudium et Spes, ma anche la Evangelii Nuntiandi di Papa Paolo VI e le encicliche sociali di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI). Credo che chi sostiene questa posizione ritenga in buona fede che solo in questo modo si possa esprimere con chiarezza la posizione dei cattolici su tanti problemi sociali e superare la barriera di “oscuramento mediatico” o di opposizione preconcetta che impedisce all’opinione pubblica di formarsi una convinzione propria e giungere ad un eventuale consenso. Gioca anche, a favore di questa posizione, non la  presunzione di costituire un partito “esclusivo”, ma piuttosto la convinzione che sia ancora il tempo di mantenere separati il lievito e la farina (per “purificare” la qualità del lievito e “selezionare” la farina ritenuta più adatta).

Forse non è questa la soluzione opportuna, ma sicuramente essa esprime il segnale di una esigenza assai avvertita, la sottolineatura della necessità di operare per il verificarsi delle condizioni utili per incarnare nella forma politica più adatta la fecondità del pensiero sociale cristiano. Sono convinto che allo stesso risultato si possa giungere attraverso l’impegno nella società civile, mi permetto solo di segnalare quello che è a mio avviso il problema di oggi, riguardo a questo tema: i tempi della maturazione nella società non sono i tempi della politica, e sugli stessi tempi incombe l’urgenza necessaria per la risoluzione dei problemi derivanti dalla crisi economica e dalla situazione internazionale, urgenza che non concede spazio alle inconcludenze a alle pause esasperate, come Sagunto non poteva aspettare le decisioni di Roma.

Il consigliere regionale Del Carlo, su Toscana Oggi del 30 ottobre, suggerisce di considerare il suo partito, l’UDC , come quello in cui i cattolici si possono immediatamente identificare. Si potrebbe così accelerare l’individuazione di una “forma partito”, rinnovando nell’oggi in forma nuova il modello democristiano e superando la necessità di cercare la scorciatoia di un “partito cattolico”. La proposta ha come premessa un giudizio che si può sicuramente condividere guardando al percorso passato, ma che secondo me non tiene conto dell’evoluzione verificatasi, nel Paese e tra i cattolici. Anche per l’UDC, infatti, non può darsi per automaticamente acquisito il consenso dei cattolici se non si rende evidente quello che ai cattolici sta a cuore: un programma con contenuti che traducano nelle forme della politica i principi della dottrina sociale cristiana e che cammini sulle gambe di uomini in cui ci si possa riconoscere, perché si è condiviso una storia di impegno “prima” del partito. Questo mi pare il limite, almeno in Toscana, dell’ UDC di oggi: un partito che negli ultimi due anni non ha saputo mantenere i consensi, inferiori rispetto alla media nazionale. Un partito in cui gli iscritti sono una frazione minima rispetto ai voti raccolti e che si avvia a celebrare congressi in cui si percepisce più l’esigenza di difendere posizioni del passato e perpetuare dirigenti che hanno esaurito la loro capacità propositiva, piuttosto che confrontarsi con la società civile e con un associazionismo cattolico, che ha certamente il limite di essere forse eccessivamente multiforme, ma che esprime anche il desiderio di una politica nuova, che cerca spazi di protagonismo positivo e potrebbe convergere su proposte politiche che siano in grado di dare le risposte a queste attese.

*Presidente Provinciale MCL di Pisa; già Responsabile Regionale UDC per i Rapporti con il Mondo Cattolico