Un’economia a servizio dell’uomo

Pubblichiamo il saluto di Gabriello Manicini, presidente della Fondazione Monte de’ Paschi di Siena, al convegno organizzato a Roma il 20 ottobre 2010, in collaborazione con il quotidiano della Santa Sede, «L’Osservatore Romano».DI GABRIELLO MANCINI>Presidente della Fondazione Monte de’ Paschi di Siena Sono ben lieto di portare un saluto a tutti i partecipanti a questo convegno che abbiamo voluto organizzare insieme all’Osservatore Romano per trattare un tema quanto mai attuale in questo periodo di crisi e di estrema incertezza su tutte le piazze economiche e finanziarie mondiali. Una crisi che ha fatto uscire drammaticamente allo scoperto tutti i difetti di un mondo incentrato sull’intermediazione speculativa, ben distante dall’economia reale.E se nel nostro Paese, in cui però il sistema bancario ha tenuto meglio che altrove, aggiungiamo la difficoltà ad affrontare le istanze che vengono dalla collettività e la rarità di investitori istituzionali, ci troviamo di fronte ad un mix di emergenze su cui riflettere e che ci porta a considerare e rivalutare la necessità di un’eticità dell’economia del resto già richiamata oltre quarant’anni fa nell’enciclica Populorum Progressio di Papa Paolo VI. In essa si evidenziava la necessità che l’aspetto economico non facesse perdere di vista l’uomo, da non valutare in base agli aspetti visibili e concreti, auspicando che quella vocazione insita nell’uomo verso il progresso e lo sviluppo non faccia perdere di vista i principi che devono comunque stare alla base dell’agire.

Eticità nell’economia in generale dunque e che coinvolge gli stessi istituti di credito italiani. Per loro storia e origine nella maggior parte dei casi comunque hanno nel dna una coscienza del contesto sociale in cui operano che non li porta a guardare al profitto come fine ultimo ed assoluto, a non farsi trascinare da gestioni lasciate solo in mano a manager presi dal vortice inarrestabile e perverso dei premi e delle stock option da gonfiare a tutti i costi.

Un’economia di mercato, ma attenta alla società in cui è inserita. Si dirà che è la politica preposta ad attuare tale sintesi, ma si può controbattere che nell’attuale società appare sempre più difficile rinunciare al ruolo di sussidiarietà e di supporto che proviene da alcune componenti private di rilievo come le Fondazioni di origine bancaria, ma alle quali aggiungerei gli stessi istituti di credito italiani. E’ vero che con la trasformazione in spa anche degli ultimi istituti bancari pubblici la componente del profitto è andata inevitabilmente consolidandosi, ma non si è perso quel radicamento spesso secolare verso il proprio territorio e la comunità che vi insiste.

Ne è un esempio la Banca Monte dei Paschi di Siena, con la sua costante attenzione verso la finanza etica e sostenibile che ha ricevuto anche recenti riconoscimenti: patrimonio per nascita di un’intera popolazione, con i suoi statuti capaci nel loro lungo cammino temporale di tutelarne la crescita finanziaria, ma al contempo anche lo stretto rapporto con il territorio, sostenendolo nello sviluppo.

Il ruolo di socio di riferimento della nostra Fondazione costituisce del resto un continuo stimolo affinché quei proventi di cui usufruiamo, derivino comunque da un concetto di finanza etica e attenta ai bisogni che è proprio di una profonda cultura cattolica e solidaristica, ma anche di radicate convinzioni laiche, entrambi tipiche dell’ambito europeo. Amalgamandosi, hanno fatto in modo che il nostro concetto di profitto e di mercato si discosti nettamente da quello americano, o se vogliamo extra europeo, anche se la crisi attualmente in corso ha evidenziato pericolosi sbandamenti.

Pur mantenendo ben distinto il diverso ruolo che esiste tra Fondazioni e istituti di credito la lezione che possiamo trarre dalle recenti vicende è che le banche sono comunque chiamate ad una responsabilità che certo travalica il loro status di imprese private, anche perché alla fine i costi di clamorosi fallimenti ricadono comunque sulla collettività.

Si pone il problema su come attuare una strategia di questo tipo. Sintetizzando si può riassumere in una strategia che faciliti ed ampli l’accesso al credito, tendendo però a non privilegiare soggetti in cui si intravedano caratteristiche poco allineate all’interesse collettivo e soprattutto al concetto di eticità, e l’applicazione di rapporti trasparenti con la clientela. Attenendosi a questi principi si compie un notevole passo avanti nel garantire che siano tutelati quegli interessi generali che anche istituzioni di carattere privatistico, ma profondamente incisive nella realtà italiana, devono tenere in considerazione.

In tutto questo sostenute dagli indirizzi delle Fondazioni di riferimento, quando queste per la consistenza della loro partecipazione azionaria sono capaci di incidere, Fondazioni che hanno come unica mission l’interesse della collettività e che si candidano tanto più a ragione come investitori istituzionali di medio e lungo periodo, stabili, affidabili e disponibili.

E’ proprio nelle Fondazioni di origine bancaria che sempre più si individuano importanti capacità di portare stabilità al sistema economico italiano, di farsi anche promotrici o quanto meno di contribuire a quella “coesione sociale” che nel convegno di Confindustria tenutosi a Genova lo scorso 25 settembre è stata giudicata come fattore indispensabile per una ripresa fondata appunto su coesione sociale e fiducia condivisa.

Del resto per garantire il sistema del Welfare lo Stato è sempre più in difficoltà e quindi si è di fronte al passaggio dal Welfare State al welfare community.

Benedetto XVI alla Banca di Sviluppo del Consiglio d’Europa ha osservato come “l’economia e la finanza non sono altro che uno strumento, un mezzo, non esistono per se stessi. Il loro fine è unicamente la persona umana e la sua piena realizzazione nella dignità”.

Non bastano gli appelli all’etica, è necessario rimettere a fuoco le più elementari domande:A cosa serve la finanza?Qual è la sua natura?

La finanza è amica se crea lavoro. Tutti devono concorrere a valorizzare questo tipo di finanza: i risparmiatori sicuramente, ma soprattutto chi ha più potere (gli operatori finanziari, le imprese, le pubbliche istituzioni, i privati, le organizzazioni del terzo settore).

Occorre lavorare tutti perché tutti possano lavorare, ognuno facendo la propria parte.

“Il bene comune è la finalità che dà senso al progresso ed allo sviluppo, i quali diversamente si limiterebbero alla sola produzione di beni materiali. Essi sono necessari, ma senza l’orientamento al bene comune finiscono per prevalere consumismo, spreco, povertà, e squilibri: Fattori negativi per il progresso”. Lo ha affermato Benedetto XVI nel maggio scorso alla Fondazione Centesimus Annus, e credo che sia un concetto del tutto condivisibile.

Ritengo che le Fondazioni siano in grado di farsi anche portatrici dell’esigenza di una sempre maggiore eticità nell’economia, un principio che viene richiamato dall’enciclica Caritas in veritate di papa Benedetto XVI e che è oggetto proprio di approfondimento nel libro “Denaro e paradiso. I cattolici e l’economia globale” scritto a due mani da Rino Camilleri ed Ettore Gotti Tedeschi.

Proprio nell’introduzione al volume il cardinale Tarcisio Bertone, cita i valori a cui deve ispirarsi chi si occupa di economia: “Volere uno sviluppo economico non egoistico, non scoraggiante la vita umana, non falsato e non illusorio. Esigenze – prosegue il cardinale Bertone – quali il ritorno all’investimento, la creazione di valore per l’azionista, la valutazione del rischio, non possono prescindere dal valore umano: i principi economici infatti sono da considerare soprattutto nella dinamica oggettiva della natura umana”.

E mette in guardia dai pericoli che corre la società se l’economia assume una sua autonomia dalla morale.

Osservazioni che credo, e mi auguro, non possono trovare che ampia condivisione.