Le anime del cattolicesimo in politica

«… In particolar modo,  ribadisco la necessità e l’urgenza della formazione evangelica e dell’accompagnamento pastorale di una nuova generazione di cattolici impegnati nella politica, che siano coerenti con la fede professata, che abbiano rigore morale, capacità di giudizio culturale, competenza professionale e passione di servizio per il bene comune». (Benedetto XVI al Pontificio consiglio per i laici. 15 novembre 2008)

L’auspicio del Papa per «una nuova generazione di cattolici impegnati nella politica» sollecita alcune considerazioni e pone alcuni interrogativi sull’impegno politico dei cattolici; tema trattato a suo tempo con particolare maestria da Pier Antonio Graziani: Laicato cattolico e cultura politica, Portalupi editore, 2003, al quale si fa riferimento in queste riflessioni.

La cultura politica nel mondo cattolico nasce, con qualche travaglio, mentre sono in atto corposi rapporti della Chiesa con i governi per recuperare, con politiche concordatarie, una libertà di azione pregiudicata dagli esiti della Rivoluzione francese.

Risale infatti al 1830 la nascita di proposte politiche di matrice cattolica sin dall’inizio distinte in due filoni rappresentati da Montalembert e da Lamennais: comune denominatore è l’accettazione dello Stato liberale, così rompendo con il grosso dei cattolici francesi legati all’ancien régime. Montalembert inizia il filone dei cattolici liberali conservatori. Di contro Lamennais scrive: «Il problema della fame non è il solo; emerge piuttosto il problema cristiano dell’uguaglianza democratica». Affermazione che segna il passaggio della questione sociale sul terreno politico e determina condanne e sanzioni dell’episcopato francese.

Dunque sin dall’inizio appare evidente l’articolazione dell’impegno politico cattolico: il legame del grosso dei cattolici francesi all’ancien régime configura la tentazione clericale; fra coloro che acquisiscono i risultati della Rivoluzione francese si distinguono i liberali conservatori dai democratici.

Contemporaneamente appaiono gli «atei devoti» con Napoleone (che non rinuncia a utilizzare la religione come instrumentum regni) poi con l’Action francaise di Maurras («Cattolico ma non cristiano») che inaugura l’alleanza fra integralisti cattolici e conservatori atei disponibili a divenire… devoti. Finché l’alleanza diviene tanto evidentemente strumentale che nel 1926 Pio XI scomunica l’Action francaise. Nel frattempo la «linea di Lamennais» si precisa e a cavallo del secolo i «cattolici democratici» sono quella parte dei cattolici che accettano e sostengono il valore della democrazia (affatto pacifico nel mondo cattolico di allora).

In Italia all’inizio del secolo scorso Luigi Sturzo supera l’intransigentismo de «l’opposizione cattolica» che negava ai cattolici la possibilità di partecipare alla vita delle istituzioni statuali («né eletti né elettori») e nel 1919 dà vita al Partito popolare definito nella sua natura dal vivace e fondamentale contrasto fra padre Gemelli e don Sturzo circa l’autonomia dell’attività politica dalla Chiesa.

Il passaggio dall’intransigentismo dell’«opposizione cattolica» e la partecipazione con tutte le altre forze politiche alla vita dello Stato segna un salto talmente evidente e determinante che Federico Chabod nella sua Storia d’Italia del XX secolo, considera la nascita del Ppi come «l’evento più straordinario del secolo». L’esilio di Sturzo e lo scioglimento del Partito Popolare furono, non per caso, i presupposti per la preparazione del concordato del ’29 firmato con l’«ateo devoto» di turno (Benito Mussolini), come lo sarà poco dopo Hitler, mentre in Spagna si afferma addirittura il nazionalcattolicesimo, in conflitto con la Repubblica. La politica del concordato, delle intese o degli appoggi con gli stati, sacrifica la nascente tradizione cattolico democratica.

La catastrofe dei regimi promossi dagli «atei devoti» fa riemergere sul finire del conflitto i «figli di secondo letto», i cattolici democratici appunto, rafforzati dalla loro partecipazione all’opposizione al fascismo e alla resistenza, arricchiti nei loro convincimenti dalla elaborazione della cultura soprattutto francese (Mounier, Maritain, Bernanos) maturata nella lunga vigilia. Ma anche alla ripresa, De Gasperi, interprete della proposta cattolico democratica deve fare i conti con Luigi Gedda che aveva offerto l’appoggio dell’Azione cattolica a Badoglio, prima di fondare i Comitati Civici come espressione cattolica distinta dalla neonata Dc: riemerge così ancora, negli anni ’40 la distinzione fra cattolici democratici e integralisti conservatori.

Prevalse la linea cattolico democratica, che riuscì a portare un contributo determinante alla redazione della Costituzione, alla rinascita economica e sociale del paese, alla sua stabilità politica connessa alla evoluzione dei rapporti politici, fino alla grande rivoluzione segnata dal crollo del muro di Berlino, della nascita della globalizzazione e della fine della prima repubblica in Italia.

Rispetto all’impegno politico dei cattolici nel XX secolo, nelle vicende tormentate e straordinarie degli ultimi decenni e pur in presenza di un mutamento che non ha precedenti si ritrovano elementi di continuità, o quanto meno di analogia con il passato. Sono sempre presenti gli «atei devoti» e la tradizione integralista si è rafforzata.

La società che sta emergendo dal processo di trasformazione in atto vede da un lato una società che ha «superato» lo stato dei diritti sociali e afferma i diritti «culturali» legati alla condizione individuale (femminismo, omosessualità, procreazione assistita ecc.) con cui occorre fare i conti, mentre il superamento della dimensione sociale esalta «la competizione» come principio, determinando conseguentemente una sorta di «darvinismo sociale» nei rapporti umani e sociali non più da paventare come rischio ma da constatare come fenomeno presente, che segna la crisi di un ceto medio, la progressiva precarizzazione del lavoro dipendente e di quello giovanile, la sostanziale emarginazione del residuo del proletariato e del migrante.

È forse questa la ragione (ma è soltanto una ipotesi mia) per cui personaggi provenienti da una militanza atea e ideologica come quella marxista, spesso con esperienze che vanno oltre la militanza nel Pci, dimostrano interesse per i testi della tradizione giudaico-cristiana.

Non so quanto sia vasta questa esperienza, certamente meno portata alla ribalta di quanto non lo siano le esternazioni degli atei devoti, ma non mi pare priva di significato, esprimendo essa una ricerca urgente alle risposte del tempo che ci è dato da vivere.

Nella fase iniziale dell’esperienza politica dei cattolici il tema della laicità della politica era affrontato dal protagonismo di due sacerdoti qualificati come don Sturzo e padre Gemelli che segnano il dibattito per superare una vicenda storica come l’«Opposizione cattolica».

Alla ripresa repubblicana lo scontro avveniva, non più fra qualificate figure di sacerdote ma fra due autorevoli leader laici cattolici: De Gasperi e Gedda sullo stesso tema dell’autonomia dell’impegno politico. Era il risultato di un periodo storico nel quale il mondo cattolico era stato articolato fra «la gerarchia ecclesiastica dei concordati» e «i cattolici democratici dell’opposizione al fascismo».

In questo odierno «terzo tempo» gli atei devoti sono una presenza qualificata nel mondo delle componenti più timorose delle novità – peraltro travolgenti – e più decise alla difesa di quanto è difendibile dell’ancien regime; l’integralismo ha assunto una strutturazione più definita; mentre dall’esterno del mondo cattolico, espressioni assai significative – e deluse – dell’ateismo militante di ieri arrivano segnali di ricerca non delle strutture ecclesiastiche ma della provocazione profetica che si può ritrovare nelle Scritture.

Oggi sembra toccarsi con mano qualcosa che fa pensare al «cristianesimo non religioso in un mondo divenuto adulto» di cui parlava Dietrich Bonhoeffer, nel quale cioè la tradizione cristiana (non soltanto cattolica, si pensi all’America) è da un lato sollecitata dagli «atei devoti» alla ricerca di riferimenti per l’organizzazione di un assetto sociale difficilissimo da interpretare e ancor più da governare, mentre dall’altro gli atei inquieti si rivolgono alla tradizione giudaico-cristiana della Scrittura alla ricerca di provocazioni profetiche per ricostruire un senso della esistenza umana sui frantumi di illusioni cadute.

Questa progressiva dilatazione di confini (dai sacerdoti, ai laici, ai non credenti) potrebbe segnare una ricerca a tutto campo sui destini dell’uomo nel quale la specifica identità politica del cattolico (già storicamente non univoca) potrebbe non essere ciò che oggi si richiede e che può avere un significato, proprio perché la necessità di dialogo, l’interesse reciproco, la ricerca potrebbe dover correre il rischio di non ammettere confini identitari. Questo è il quadro nel quale si leva , mi pare, l’auspicio di Papa Benedetto XVI. Come e dove farlo calare nel variegato mondo che ci sta di fronte non è forse un quesito vano.

Giuseppe Matulli