I nuovi martiri: resistenza alla disumanizzazione

di Adriano Roccucciordinario di storia contemporanea all’Università Roma 3

Nel XX secolo, come ha sottolineato Giovanni Paolo II, «la Chiesa è divenuta nuovamente Chiesa di martiri». La storia delle persecuzioni dei cristiani nel Novecento è stata una vicenda di particolare ampiezza e complessità. Sono stati centinaia di migliaia, probabilmente milioni i cristiani che nel corso del secolo sono stati uccisi, in tutti i continenti ed in tutte le Chiese cristiane. Ortodossi, fedeli delle antiche Chiese d’Oriente, protestanti e cattolici hanno conosciuto la persecuzione, dall’Unione Sovietica comunista all’Europa sotto il dominio nazista, dalla Spagna negli anni Trenta all’America latina dei regimi dittatoriali, dai missionari uccisi in Asia, Africa e America latina all’Asia comunista, dal Messico negli anni Venti all’Africa dilaniata dai conflitti, dagli armeni uccisi durante la prima guerra mondiale, all’India e al Pakistan delle tensioni interreligiose fino al mondo arabo-islamico in Libano, in Sudan e in Algeria. Emerge da questa storia, come ha sottolineato Andrea Riccardi, nel suo fondamentale lavoro, Il secolo del martirio, «un volto forse dimenticato o ignorato del cristianesimo novecentesco. È il volto di una folla di cristiani, uomini e donne, che sono stati perseguitati».

La memoria dei «nuovi martiri» evidenzia che i cristiani sono stati presenti, spesso come vittime, sui tornanti decisivi e drammatici del Novecento. L’esperienza dei «nuovi martiri» è la vicenda di un cristianesimo che non si è estraniato dalla storia. I cristiani hanno condiviso profondamente le vicende del mondo contemporaneo.

Una storia tra tante. Don Aldo Mei, parroco della diocesi di Lucca, fu arrestato dai tedeschi negli anni della seconda guerra mondiale nella sua chiesa subito dopo la celebrazione della Messa e tradotto a Lucca. Fu processato con l’imputazione di aver dato rifugio a degli ebrei in casa sua, di avere amministrato i sacramenti ad alcuni partigiani e di avere nascosto una radio ricevente. Fu condannato a morte. Nel suo testamento spirituale scrisse: «Muoio travolto dalla tenebrosa bufera dell’odio io che non ho voluto vivere che per l’amore! “Deus Charitas est” e Dio non muore. Non muore l’Amore! Muoio pregando per coloro stessi che mi uccidono. Ho già sofferto un poco per loro». La sera del 4 agosto 1944 fu visto passare per una via di Lucca in mezzo a tre soldati tedeschi. Teneva una vanghetta appoggiata sulle spalle e nelle mani la corona del rosario. Fuori delle mura della città dovette scavarsi la fossa, ai bordi della quale fu crivellato di colpi. Aveva trentatré anni.

«Non muore l’amore!»: sono le ultime parole di un prete della provincia italiana travolto da un sconvolgimento più grande di lui, quale fu la seconda guerra mondiale. Si potrebbe pensare che si tratti di un’espressione di romanticismo religioso o della manifestazione di una ingenua illusione. Questa vicenda e queste parole sono una traccia della storia del Novecento e del vissuto cristiano del XX secolo. Il martirio nel XX secolo, di cui è ancora da sviluppare la conoscenza storica, non è una pagina secondaria del Novecento. È un fenomeno in cui ci si imbatte in tutti i principali passaggi del secolo. La questione che i «nuovi martiri» sollevano riguarda, infatti, un nodo decisivo della vicenda della modernità. Con un linguaggio religioso don Aldo Mei toccava un punto chiave: quello della «causa umana». In gioco ad Auschwitz, alle Isole Solovki, nei campi cinesi, negli altipiani dell’Anatolia durante la prima guerra mondiale, nella capacità distruttiva e nella logica di annientamento della guerra in età contemporanea, nelle manifestazioni di odio nazionale, etnico, ideologico, antireligioso, è stato il destino dell’umanità. «L’amore non muore!» è dire che l’umiliazione dell’uomo, il suo annientamento, il divenire l’uomo una cosa agli occhi dell’uomo, tutto questo incontrava una resistenza. I «nuovi martiri» sono stati dei resistenti alla disumanizzazione. La loro memoria, fortemente voluta e proposta alla Chiesa cattolica e al mondo cristiano da Giovanni Paolo II, non è stata un invito alla vittimizzazione dei cristiani né un richiamo a uno spirito di rivalsa. Giovanni Paolo II ha voluto modellare con l’appello alla memoria dei «nuovi martiri» l’identità della Chiesa nel mondo contemporaneo. I cristiani condividono l’itinerario storico dell’uomo contemporaneo, partecipano profondamente alle contraddizioni della storia e con la loro presenza, in modo agonico, difendono l’uomo. «Morì un uomo, ma l’umanità si salvò», ha detto Giovanni Paolo II a proposito di Maksymilian Kolbe ad Auschwitz: «L’amore non muore!». È morto un uomo, sono morti tanti uomini, come Kolbe, ma l’umanità si è salvata, perché non è stata totalmente annientata nella vita di questi uomini, di questi cristiani, dei «nuovi martiri».