Seminario su etica e politica

Il 15 giugno 2006, per iniziativa dell’Associazione “Incontri” si è tenuto a Firenze un seminario di studi sul tema: “Etica e politica”. Le relazioni introduttive sono state di MICHAEL GRIFFITHS, FRANCESCO GURRIERI, MARIO PRIMICERIO, coordinava LEONARDO BIANCHI. Ecco la sintesi del dibattito. E’ disponibile anche la sbobinatura dell’incontro.

Fino dalla presentazione dell’incontro, il coordinatore ha detto che il seminario intendeva andare oltre il problema delle “soluzioni politiche a problemi che coinvolgono l’ordine etico (bioetica, famiglia, procreazione medicalmente assistita)”, e discutere piuttosto un “aspetto fondamentale che deve tornare al centro della nostra riflessione e della nostra educazione e formazione alla vita pubblica: il problema dell’etica nella vita pubblica” (Bianchi ).

Michael Griffiths ha affrontato il tema dell’etica economica, e più specificamente dell’etica dell’impresa, osservando come “nel mondo degli affari, oggi ci sia molta attenzione sui codici di comportamento che riguardano la corporate governance, ossia come si gestisce l’attività economica di un’azienda” e come sia fondamentale approfondire i “concetti di razionalità filosofica che sottostanno all’attività economica”. Le tesi principali che Griffiths ha argomentato sono state:

a) “bisogna vedere l’economia come un’attività principalmente cooperativa e non conflittuale”, superando l’atteggiamento “molto radicato in tanti verso il mondo degli affari come se fosse un gioco dove domina la legge della giungla, vince il più forte e c’è poca moralità”;

b) “il mondo è molto più fluido che nel passato” e, di conseguenza, “la giustizia economica è una cosa fondamentalmente non determinata”, nel senso che è necessario un “processo di contrattazione fra le parti, e non possiamo sapere in anticipo quale sarà il risultato di questa contrattazione, perché dipenderà da una complesso intreccio di interessi, valori, necessità e desideri, che rende impossibile pensare che noi siamo in grado di imporre il “giusto salario“, che sarà determinato da una serie di circostanze economiche specifiche in un particolare momento e posto, e la stessa considerazione riguarda anche “il giusto prezzo”. La giustizia economica può solo emergere da “un processo estremamente dinamico ed interattivo, e dobbiamo cercare di trovare soluzioni di etica per operare in un mondo economico con un altissimo contenuto di relatività”.

E’ necessario superare il “vecchio concetto dell’attività economica come una cosa privata”. Questo non è razionale, perché necessariamente l’attività economica – a cui è legata la giustizia economica – dipende dalla riconciliazione di tanti diversi interessi delle controparti coinvolte. In questo senso l’attività economica assume un aspetto “non privato”, perchè i proprietari finanziari non sono il solo stakeholder, visto che i clienti, fornitori e dipendenti hanno i loro diritti in un’attività economica che danno loro una partecipazione in tale attività in un senso più ampia della parola. Soltanto negli ultimi vent’anni abbiamo cominciato a non considerare soltanto gli shareholders, ma anche gli stakeholders, ossia tutti quelli che risentono gli effetti di una data attività economica” Le implicazioni per gli shareholders sono importanti perché pongono una nuova attenzione sugli aspetti “fiduciari” che hanno verso tutti gli altri stakeholders.

Questa posizione – molto pragmatica, anche se richiede di appoggiarsi su principi etici solidi – può apparire, almeno in parte, in contrasto con la critica che, con riferimento all’attività politica, altri hanno avanzato – primo fra tutti Francesco Gurrieri – verso un atteggiamento troppo elastico nei confronti delle questioni etiche. Gurrieri ha osservato che, paradossalmente, “quanto più l’idea di etica si è estesa nei suoi riferimenti, allontanandosi dalla sua condizione concettuale sorgiva di fondazione dei valori, radicati anche nella riflessione metafisica; quanto più l’etica si è proiettata, si è oggettivata sulla politica, sull’ambiente, sulla scienza, sulla biologia, sull’economia, tanto più, in qualche modo, il concetto di etica si è un po’ elasticizzato”. Di conseguenza, la politica finisce per essere intesa “più come attività pragmatica, spesso purtroppo solo connessa al potere”. “Si può addirittura arrivare alla aberrazione di postulare una politica “circostanziale”, una politica delle circostanze, supportata da (…)un’etica circostanziale“. E si ritorna a sostenere che “ciò che è obbligatorio in morale non è detto che sia obbligatorio in politica; ed, ancora, ciò che è obbligatorio per l’individuo non è detto sia obbligatorio per il gruppo di cui quell’individuo fa parte”, una logica, quindi, di “ragion di stato“.

In questa direzione, Gurrieri ha fatto esplicito riferimento alla situazione della politica italiana negli anni recenti, sottoposta ad una “decostruzione etica, che si è manifestata sub specie di un’etica legata alle circostanze”.

Le due manifestazioni con le quali Gurrieri ha esemplificato questa sua analisi critica sono state il leaderismo e il bipolarismo muscolare. Queste due tendenze sono state riprese anche in altri interventi, con posizioni anche differenziate.

Quanto al leaderismo, Gurrieri ha distinto una situazione fisiologica (“funzione guida, naturale espressione della classe dirigente che ha la responsabilità di governo”) e una patologica (“gruppo e blocco di potere egemone”), ben rappresentata dalla figura dell’imprenditore politico, “che in qualche modo cerca di modellare lo stato (…) secondo la logica aziendale; mettendo in gioco anche la propria immagine, cercandone un accreditamento generalizzato”.

Ma sul leaderismo come degenerazione, l’accordo non è stato totale. Carli lo ha giustificato, in parte, con la sempre più ridotta capacità di intervento – e quindi di decisione efficace – delle assemblee elettive (segnatamente Consigli regionali e Consigli comunali), i cui membri, inoltre (qui il riferimento specifico è al Senato della Repubblica) sono eccessivamente preoccupati di garantirsi il posto e la pensione. Ma, altri hanno obiettato (Fuscagni) che ai Consigli è stato tolto ogni potere di controllo e di decisione, e questo ha portato ad un abbassamento del loro livello qualitativo.

Sul fenomeno che Gurrieri ha etichettato come bipolarismo muscolare, lo stesso Gurrieri ha osservato come, nel nostro Paese, l’aggregazione politica bipolare – naturalmente postulata dall’opzione maggioritaria – ha prodotto “una sorta di sciovinismo di partito, di area, l’atteggiamento esasperato tendente ad una polemica negatrice dello spazio degli altri”. Da qui l’esigenza di “adoperarci per far rientrare questo gioco di muscoli nella politica, un gioco che evidentemente non ha nulla di razionale, ma vede l’interlocutore come nemico da battere piuttosto come interlocutore di altra idea, di altra collocazione”.

Mario Primicerio ha distinto tre diversi modi in cui si può intendere la locuzione “etica della politica: (a) se la politica debba porsi dei fini e come questi si rapportano al giudizio morale; (b) il rapporto tra etica individuale e doveri di cittadinanza; e (c) l’etica del cittadino che opera nelle istituzioni politiche”.

Nella prima direzione, la struttura politica si regge su tre funzioni fondamentali (la loi, le juge, le gendarme): la definizione delle regole, la definizione di chi giudica se le regole sono state rispettate o no; e infine la funzione di chi ne impone il rispetto. “Soltanto se si àncora il potere a un sistema di valori condivisi e accettati si ha un consenso che non è dettato soltanto dalla paura delle sanzioni”.

“Alcuni principi generali condivisi sono la base della convivenza, e sono preliminari alle scelte relative ai modi in cui organizzare questa convivenza. Questo è il patto costituzionale”, basato, almeno nel caso dell’Italia, “sulla definizione dei diritti di cittadinanza e sull’impegno della comunità civile ad operare per mettere i cittadini in condizione di usufruirne nella misura più ampia”. Sul modo con cui realizzare questi obiettivi, è naturale che si abbiano visioni diverse, scelte politiche diverse, basate su diverse visioni del mondo”. È questo il terreno della contesa politica, comunque soggetta alle regole del dialogo.

Nella seconda accezione dell’etica della politica (l’etica del cittadino singolo in ordine alla politica), una scelta politica deve essere basata “su un’ipotesi, da me scelta, sul fine della storia, sull’impegno a fare in modo che, per quanto sta in me, il mondo che lascerò sia anche infinitesimamente più “giusto” di quello che ho trovato”.

Sulla morale individuale di chi fa politica, poi, “il rigore dell’osservan-za delle regole morali deve essere massimo”.

Una battuta pronunciata all’interno del dibattito sulla tassa di successione, con la quale si sembrava contestare il diritto del figlio di un operaio a pretendere di avere lo stesso trattamento del figlio del professionista è stata lo spunto per molte osservazioni (Gurrieri), e anche per una digressione sull’atteggiamento dei “figli”, ossia dei giovani, indipendentemente dalla propria appartenenza sociale (Fuscagni ). La battuta è stata criticata nella sostanza: “il compito di una democrazia, e più in generale il compito di uno stato giusto non è proprio quello di porre nella stesa condizione di partenza – negli studi, nel lavoro, nella reale aspettativa di vita – il figlio dell’operaio, il figlio dell’impiegato, il figlio del professionista e il figlio dell’industriale? (GurrieriQuest’ultima critica rientrava in una più generale osservazione nei confronti dei principi etici che, in politica, risultano oggi non soltanto trasgrediti nei fatti, ma capovolti anche nelle enunciazioni, producendo un degrado etico assai più grave della semplice trasgressione. Fa parte di questo atteggiamento anche il fatto che i candidati non si presentano con una proposta derivante da una propria visione del bene comune, ma esplicitamente “per difendere gli interessi di un gruppo, di una categoria o di un territorio” (Tani). Ma, ha commentato Mario Primicerio , c’è anche chi non fa né l’una cosa né l’altra, limitandosi a emettere slogan non falsificabili o a definirsi soltanto “contro”. “I due schieramenti che si sono contesi il voto nelle ultime elezioni si sono soltanto definiti contro. (…) E’ un po’ poco per parlare alla speranza. Se la politica non è passione, non ci meravigliamo che non si appassioni più nessuno” (Primicerio ).

Anche da altri è stata fortemente invocata l’esigenza di richiamare in modo forte i principi, e di sollecitare atteggiamenti rigorosi e solidaristici. Giovanni Pieroni , riferendosi in particolare alla sua esperienza di educatore di giovani, pur riconoscendo la necessità di denunciare la deriva “circostanziale” della politica, si è detto preoccupato che il limitarsi a presentare una situazione fortemente deteriorata possa portare da un lato a una sorta di accettazione passiva, con motivazioni di “realismo”, dall’altro alla rinuncia a dare ai giovani motivazioni forti. “Bisogna salvare questo concetto del servizio, della carità, di questa forma di interesse verso gli altri”.

Le nuove generazioni sono state oggetto di interessanti considerazioni anche da altri punti di vista. Stefania Fuscagni ha parlato di “un’intera generazione che è come se non avesse avuto occasioni per spingersi più in là e conquistare qualche cosa, che sia stata nella condizione di scegliere tra opportunità”. Pietro Giovannoni (l’unico anagraficamente giovane tra i presenti) ha riconosciuto “che i giovani oggi sono meno impegnati, soprattutto non hanno voglia di lavorare; io ne sono convinto, perché se non si trova lavoro è perché i giovani vogliono fare solo un certo tipo di lavoro”. Vi è quindi l’esigenza, sottolineata da Stefania Fuscagni, “di dare uno stimolo a intere generazioni perché si muovano verso la conquista di qualche cosa”.

Pietro Giovannoni ha anche individuato alcune responsabilità all’origine di questa situazione. I giovani sono stati “viziati dai padri che non gli hanno insegnato nulla, e dalla scuola che non gli ha insegnato nulla”; “è stato detto loro che non debbono fare la fatica che hanno durato i genitori, non debbono fare la gavetta. Hanno studiato, ed escono (ignoranti) dalle università, quindi non potranno mai fare lavori umili”. I giovani di oggi subiscono gli effetti della “cultura consumistica, disimpegnata“, nata nel clima che si è creato, quasi improvvisamente, all’inizio degli anni ’80: “nel 1978 ancora tutto era politica, e nel 1982 l’Italia vince i mondiali, iniziano i programmi della TV a colori, e il Paese cambia. In cinque anni l’emergenza terroristica non c’è più”. Il tutto aggravato dal fatto che “per la prima volta nella storia, la generazione di noi trentenni ha davanti a sé un futuro più difficile rispetto a quella dei genitori”. “Nei giovani, non impegnati in politica, non trovo neppure le capacità, le categorie per comprendere la realtà. (…)Manca l’educazione al bene comune“. Un cambiamento che coinvolga strutture istituzionali e atteggiamenti individuali è necessario per affrontare le novità dell’economia contemporanea, che esige disponibilità al cambiamento. E se l’economia non marcia, non si può risolvere la più grave ingiustizia sociale, quella della disoccupazione (Griffiths ).D’altra parte, per quei giovani che accetterebbero la sfida della flessibilità, dell’intraprendenza, vi è un contesto che non si è adeguato a queste nuove esigenze: “Non siamo egoisti, è che non ci danno i soldi per mettere su casa. Il lavoro è flessibile, i mutui no” (Giovannoni ).

Ma in quale misura è oggi possibile fare politica in modo eticamente corretto? “Si dice che le brave persone devono stare fuori dalla politica, se no si contaminano. Non è assolutamente vero” (Carli ). Primicerio concorda: “La politica non è sporca, o non è necessariamente sporca. Ognuno ha la politica che si merita. Se noi non siamo capaci di impegnarci nella politica, non ci possiamo neanche lamentare”.

Enzo Cacioli si è soffermato sull’urgenza, nel nuovo contesto bipolare italiano, di discernere tra diversi modelli di conduzione di esperienze socio-politiche. Cacioli ne ha individuati quattro:

(a) il modello accentrato-burocratico, che “ha strutturato l’esperienza dei partiti politici ideologici a conduzione centralistica e rigida”, “fenomeno secondo il quale un gruppo dirigente centrale esporta rigidamente in periferia un progetto ideologico rigido e l’organismo centralizzato stesso (direzione nazionale di partito) è l’unico strumento che verifica l’ortodossia delle esperienze periferiche”;

(b) il modello movimentista-carismatico, nel quale un leader carismatico è “il riferimento primo e ultimo dell’esperienza, colui che gestisce in maniera indiscussa ogni decisione con ampi poteri di movimento e scarsi momenti di comunione; tutto il resto, ciò che ruota intorno al leader, alle sue intuizioni e ne condivide generalmente anche le contraddizioni, è il movimento”;

(c) il modello assembleare-massmediale, “esperienza dei movimenti o partiti politici ‘forti’, per i quali l’azione politica ruota intorno ad alcuni appuntamenti di massa”. “Al progetto quindi si preferisce il ricorso a slogan o talvolta, in fase più evoluta, alcune linee di programma a tempo”;

(d) il modello organico-diffusivo, assimilabile all’esperienza delle autonomie locali e dei grandi partiti a radicamento popolare, in cui l’esperienza nasce da una forte capacità progettuale e da una decisa tendenza alla elaborazione e diffusione territoriale sia del progetto, sia della responsabilità, sia dell’articolazione periferica”.

Un altro tema importante è stato quello del collegamento stretto tra etica della politica e etica dell’informazione, soprattutto oggi che i mezzi di comunicazione hanno raggiunto una forza e una pervasività eccezionali. Gurrieri ha sostenuto che “la soppressione dell’informazione gioca ruoli determinanti con il potere nella formazione del leaderismo. Da qui, dunque, la necessità che la garanzia della libertà, la garanzia della professionalità, la garanzia della correttezza dell’informazione sia davvero etica di base, sia davvero esercizio insopprimibile del diritto dovere del giornalista – ma dell’intellettuale in genere. Perché la manipolazione dell’informazione a fini di consenso è, prima di tutto, un delitto civile e sociale, da non sottovalutare mai”. Massimo Carli ha fatto riferimento al fatto che i giornalisti vanno alla ricerca di notizie che fanno colpo.A peggiorare il livello dell’informazione – soprattutto radiofonica e televisiva – è intervenuto anche l’attenzione spasmodica all’audience, per ragioni legate alle entrate pubblicitarie: il fenomeno dell’Auditel, e in particolare la sua applicazione ai contenitori di informazione, fa sì che le notizie trasmesse non siano quelle politicamente più significative, ma quelle che incontrano maggiormente il favore del pubblico (Banchini ).

Altro tema toccato quello della responsabilità e dell’autonomia del cristiano nelle scelte politiche. Innanzitutto è stato sottolineato il dovere della politica. La Pira diceva che oggi, se si vuol bene alle persone, bisogna fare politica, la più alta espressione della carità.

E’ stato anche sottolineato “il fondamentale ruolo di responsabilità, di partecipazione, del laico cristiano nell’identificare le priorità dell’azione politica” (Bianchi ), tenendo presente che, sulle priorità, il laico è più competente del chierico a fare le scelte. Da questo punto di vista, si è anche lamentato un ripiegamento clericale della politica, in questo paese, legato all’abbandono della logica della mediazione. In questa linea, è stata anche sostenuta la piena legittimità di accordi realizzati anche con soggetti politici che aderiscono a principi diversi (Carli ).

Se molti interventi lamentavano, negli “operatori politici”, una scarsa sensibilità etica, c’è da chiedersi quali siano le sanzioni possibili – e quali quelle disponibili – contro questi comportamenti.

Trattandosi di norme etiche, la prima sanzione dovrebbe essere quella che nasce dalla coscienza individuale. Ma la coscienza dei politici sembra essersi fatta molto elastica, se – come è stato affermato in molti degli interventi – non si verifica solo un mancato rispetto di norme etiche anche elementari, di base, ma anche un esplicito sostegno a comportamenti che concretizzano tale mancato rispetto. Trattandosi di comportamenti di soggetti che hanno cariche elettive, la sanzione potrebbe e dovrebbe derivare dal voto degli elettori. Ma nel dibattito si è esplicitamente lamentato che, almeno in Italia, oggi, questa sanzione, di fatto, non è praticabile, perché recenti riforme hanno escluso, per diverse competizioni elettorali, la possibilità di esprimere preferenze su singoli candidati; e, anche quando questa possibilità esiste ancora, la formazione degli elenchi tra cui scegliere è fortemente condizionata dai partiti; e, all’interno dei partiti, vi è un difetto di partecipazione e di democrazia. Questa situazione è, a sua volta, causa di un allontanamento di molti dall’interesse per la politica. “Non c’è dubbio che (…) quanto più è maggioritario il sistema di governo, tanto più deve essere proporzionale, o comunque aperto a tutte le posizioni, il sistema dei partiti. Se, come succede adesso, all’interno del partito chi vince il congresso prende tutto, e poi, se il partito vince, prende a sua volta tutto, è finita, non c’è più ricambio democratico. All’interno del partito, del movimento politico, ci deve essere la più ampia rappresentazione, se no le minoranze non conteranno mai nulla, e allora si limiteranno ad andare sulle barricate, e questo non è il contratto sociale” (Primicerio )

Seminario su Etica e politica – (sbobinatura)