Per un partito dei cattolici

Eccellenza reverendissima – e, per quel legame d’amicizia e di stima che m’unisce a Lei al di là del rapporto istituzionale d’un prete con il suo Vescovo, aggiungo: Eccellenza carissima – non posso esordire con la frase dei nostri vecchi: «vi scrivo questi due righi per dirvi», sia perché non saranno due, sia perché non son di circostanza.

Scelgo il genere della lettera aperta – e spero che non Le dispiaccia – proprio perché m’aggancio non ad una più o meno banale circostanza, ma all’assunto da V.E. sostenuto in «Toscanaoggi» n. 45 (12.12.2004), replicando a qualche distorsione del suo pensiero. La sua replica m’ha molto sorpreso, perché neutralizza un’impressione del tutto diversa, suscitata in me da una delle sue prime omelie programmatiche, pronunciata in cattedrale per la solennità di santo Stefano. Nel tentativo di risvegliare la coscienza morale dei cattolici pratesi e d’orientarli verso forme di rappresentanza o almeno di referenza politica, confessò di non sapere se le sue parole sarebbero state comprese ed accolte. Al momento di salutarla, le feci presente che un primo entusiastico consenso Le veniva da me. Il suo no di oggi «all’idea del partito dei cattolici» suona come un no anche al mio consenso d’allora.

Inoltre, senz’addurne le ragioni, ella definisce un’idea siffatta «ambigua» e «fuori del tempo»; io la considero invece una sua inderogabile esigenza. Perciò, parliamone un po’.

La scelta religiosaDevo partire da lontano. Da quella malaugurata e politicamente dissennata «scelta religiosa» del periodo postconciliare, con la quale s’intese sottrarre la Chiesa ad ogni tutela politica e liberarla da supplenze non più giustificabili. Non entro in tutti i particolari, alcuni più, altri meno sintomatici di quel momento; sottolineo il trend di distacco dalla politica diretta, che portò progressivamente alla denuncia non dico di connivenze sempre deprecabili, ma anche delle passate collaborazioni, relegando così la Chiesa e con essa la coscienza cattolica nell’ambito del sacro, e la politica in quello d’una temporalità fine a se stessa. Come se tra i due ambiti non ci fosse alcun rapporto e come se il deporre un voto nell’urna elettorale fosse solo un giochetto d’arte politica e non un gesto d’altissima responsabilità sociale e morale; non si capì il danno immane della scissione della politica dalla scelta religiosa e dalle sue motivazioni morali. Quel trend, purtroppo, si concretò non soltanto in un distacco dal partito dei cattolici, ma anche in una più o meno aperta condanna di responsabilità, riconducibili non al partito ma ad alcuni suoi uomini non proprio trasparenti nel loro non sempre esemplare servizio alla cosa pubblica, perché pronti a servirsi di essa per il proprio prestigio o il proprio tornaconto. Lo scandalo dei «fondi neri» e di «mani pulite» insegna qualcosa. Quel trend approdò ad una sorta d’apertura di credito sia nei confronti della maturità politica dei cattolici, sia nei confronti di schieramenti sostitutivi di quello cattolico. Si lasciò piena libertà d’orientamento politico verso schieramenti non in aperto contrasto con le esigenze della fede, e libertà di voto a favore di chiunque desse qualche garanzia riguardo ad esse. Oggi si è dinanzi ad una spaventosa parcellizzazione dello schieramento cattolico; ne è un deprecabile effetto la non incidenza di esso nella cosa pubblica. S’assiste, infatti, ad una sua irrilevante porzione dedita al «gregariato» di sinistra che una volta si diceva, certo non elegantemente, degli «utili idioti»; a qualche sua frangia attestata o coinvolta nell’ambito della destra anche estrema ed a qualche residuo «arbusto» della vecchia pianta vivacchiante al centro. I due schieramentiEccellenza, dinanzi a questo sfilacciamento del mondo cattolico assume un risalto notevole la sua precisazione: «L’idea che sostengo non è quella del partito dei cattolici». È allora quella dello sfilacciamento? Non lo dice apertamente, e quel che dice, sa dirlo bene; ma in ultima analisi proprio lì si rifugia: «… quanti hanno fatto … questa o quella scelta tra i due attuali schieramenti politici italiani restino pure, se credono, nell’uno o nell’altro condominio, impegnandosi però a non perdere la loro identità di cristiani, a marcare la loro differenza mentre collaborano con i condomini e dialogano con tutti, a non esagerare nella polemica con i cattolici dell’altra parte come se si trattasse d’una lotta continua tra fratelli, a non considerare eterne le scelte e le scene attuali ed anche a rivedere il diffuso apriorismo contro il metodo elettorale proporzionale». Ne deduco che, per Lei, è indifferente che un cattolico resti come tale nell’uno o nell’altro condominio, purché confessi apertamente e difenda le sue idee cattoliche, dialoghi con tutti, non condanni i cattolici dell’opposta sponda, sia pronto alle alternanze fisiologiche della politica, nonché all’opportunità d’un ritorno al proporzionale. Chiedo: tutto quanto rientra nel suddetto «purché» è sufficiente a salvaguardare i diritti della coscienza cattolica? a trasferire nell’attività legislativa i principi della dottrina sociale cristiana, o quanto meno un’ispirazione ad essa? ad avvalersi a tal fine della dialettica democratica, del gioco cioè di maggioranze e minoranze, senza un forte partito che si faccia carico, per il bene comune, della conoscenza e affermazione ed applicazione della suddetta dottrina? Eccellenza, per quanto mi sforzi di leggere in consonanza con Lei le sue parole, non trovo in esse una risposta plausibile agl’interrogativi di cui sopra: e son proprio quelli il problema di fondo.

Avrei capito, anche se non del tutto condiviso, una sua preoccupazione contro l’eventuale proposta d’un partito «cattolico», perché esso apparirebbe una diretta emanazione della Chiesa; ma il partito «dei cattolici» è tutt’altra cosa: è libertà d’aggregazione politica che i cattolici, come tutti gli altri cittadini, posseggono per diritto naturale e, negando la quale, non si rispetta la dignità della persona, cardine della dottrina sociale cristiana. Inoltre, si corre il rischio di demonizzare e ghettizzare la politica dei cattolici in quanto politica cattolica, come se essa non facesse parte del bagaglio degli obblighi morali d’ogni cattolico e della comunità cattolica.

Ricordo quando, da prete novello, assistente diocesano degli Uomini d’Azione Cattolica, sostenevo la necessità di non abbandonare la politica al solo schieramento partitico, ma di farne una delle varie «opere» allora previste dagli statuti dell’Azione Cattolica. Oggi come oggi, peraltro, la salvaguardia dei principi dai quali il cattolico desume il bene comune, non ha alternativa al ripristino d’una forte ed autentica rappresentanza politica, ossia del partito dei cattolici.

Il resto naufraga nell’utopia ed è, quello sì, fuori della storia. Con tutto il mio filiale ossequio.Brunero Gherardini