Cattolici e politica. Fallita l’idea dello «sparpagliamento» è tempo di una nuova aggregazione

le elezioni dello scorso mese hanno suscitato un dibattito, ben colto e valorizzato da questo giornale, sul ruolo dei cattolici in politica. Lo hanno fatto perché è apparsa evidente, anche agli occhi dei più restii, la raggiunta irrilevanza della presenza cattolica nel panorama politico italiano. Un ciclo si è compiuto, e sarebbe inutile puntarsi l’indice addosso gli uni agli altri. In politica l’analisi delle sconfitte del presente è la premessa del lavoro di domani. Vediamo quindi lo stato delle cose, e traiamo qualche conseguenza.
Innanzitutto: è fallita l’idea dello sparpagliamento. Dividersi per essere, da posizioni diverse, il sale della politica (ma magari anche solo una superlobby pronta ad agire su alcuni temi non negoziabili) non funziona. Non funziona perché la politica è scienza architettonica: non ci si può accontentare di dare qualche rifinitura pur profonda alle strutture portanti di un edificio, se questo nel frattempo è stato progettato per non ospitarci. Nella migliore delle ipotesi si finisce per fare da soprammobili.
Secondo: nelle ultime elezioni ci è capitato di constatare un desiderio diffuso di un ritorno a momenti di aggregazione all’interno del mondo cattolico, stanco di doversi separare all’atto della scelta politica. Una sensazione provata in molti luoghi, su molti piani. Quando dal basso emerge un desiderio del genere, guai a non darvi risposta. Colpisce, poi, l’espressione usata dal cardinal Bassetti all’ultimo consiglio permanente della Cei, e vale la pena ricordarla. Siamo, ha detto il cardinale, in una coda dell’inverno, e l’inverno si acutizza in un disagio che alla lunga diventa risentimento, litigiosità, rabbia sociale. Quasi l’identikit di chi adesso reclama l’assunzione delle responsabilità di governo. Oggi c’è una società da pacificare. C’è una speranza da ricostruire. C’è un Paese da ricucire. Chi è disponibile a misurarsi su questi orizzonti ci troverà a camminare al suo fianco. Senza tirare nessuno per la giacca, sembra essere l’invito a creare qualcosa di nuovo che agisca su un solco antico. Diremmo noi: il solco di quella Costituzione bella e viva che venne scritta settanta anni fa da una società variegata e composita, in cui i cattolici seppero essere collante esercitando una guida piena di saggezza, che accompagnava i processi senza sentirsene padrona.
Papa Francesco per due volte almeno ha consigliato fortemente ai cattolici di occuparsi direttamente di politica, sconsigliando al tempo stesso la creazione di un partito cattolico. Invito che, a nostro avviso, va colto nella sua complessità: no ad un partito confessionale e di pura testimonianza fine a se stessa, perché la politica è sintesi e capacità di uscire dai problemi insieme a coloro che non sono dei nostri. Chiarito questo, però, forme di dialogo serrato tra uomini che al nostro umanesimo integrale sono aperti, anche se provenienti da strade diverse, sono da considerarsi positive.
Un partito cattolico che pretenda di presentarsi asfitticamente come rappresentante di una parte della società, sottilmente ed implicitamente «altro» rispetto a ciò che lo circonda e alla modernità sarebbe infecondo quanto lo sparpagliamento degli ultimi decenni. Un’aggregazione ispirata ai profondi valori del Cristianesimo ed aperta a chi quei valori, magari provenendo da una prospettiva diversa dalla nostra, è pronta a declinarli sarebbe, al contrario, la migliore strada per uscire dall’inverno. Anche perché l’Italia è in profonda trasformazione, e gli italiani sono diversi da quelli di un tempo. Esistono realtà che fino ad una quindicina di anni fa non erano nemmeno immaginabili, che vogliono avere voce in questo che ora è il loro Paese, dove vivranno, lavoreranno, saranno sepolti e così i loro figli ed i loro nipoti. Linfa vitale per una società sfibrata, non vanno lasciati senza voce e senza ascolto. Un’aggregazione politica laica, ma di autentica ispirazione cristiana nei suoi valori, sarebbe una vera casa comune in cui si potrebbero trovare a loro agio gli uomini di buona volontà.
Diceva Martin Luther King, di cui ricordiamo in questi giorni il cinquantesimo della morte: «Non c’è libertà se il nero del Sud non può andare a votare, e non c’è libertà se il nero del Nord non ha nessuno per cui votare». Diamo libertà a noi stessi, diamola agli altri: diamo a tutti, dopo tanto tempo, qualcuno per cui vale la pena andare alle urne.