«Come cristiani e cittadini ci riconosciamo nella Costituzione e non nelle barricate “contro”»

Come cristiani e cittadini ci sentiamo interpellati e non possiamo rimanere muti di fronte a ripetuti atteggiamenti di intolleranza che esprimono un sentimento che va crescendo nel sentire comune, avallato e legittimato dall’azione e dalle parole di esponenti di spicco della politica nazionale. Nei giorni scorsi, il ministro degli interni Matteo Salvini ha così affermato: «Ho sentito che la Cei ci invita ad “accogliere”: abbiamo già dato e ora ci occupiamo degli italiani… Ogni giorno incontro suore, preti e frati che mi dicono: vai avanti Matteo, preghiamo per te. La Chiesa del territorio, la chiesa delle parrocchie, è quella che vive sulla propria pelle i problemi reali, che magari qualcuno in Vaticano vede da lontano». In queste ultime affermazioni prevale la solita logica di contrapposizione, di costruzione di barricate, tanto più fragili quanto più erette «contro». Noi non ci riconosciamo in questi percorsi.
Crediamo invece in quanto ha affermato la Corte costituzionale: «I diritti che la Costituzione proclama inviolabili spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani». E crediamo che i diritti degli italiani devono senz’altro essere garantiti, ma che per questo non si debba far morire di fame chi italiano non è: siamo tutti figli dello stesso Padre, indipendentemente dal passaporto. E nemmeno ci riconosciamo nel continuo richiamo al rapporto esclusivo fra chi detiene il potere ed il «popolo» genericamente inteso. Un governo dove si attiva un rapporto diretto stato-individuo evidenzia sempre di più la crisi profonda dell’idea di società che appartiene alla nostra storia, e che l’articolo 2 della nostra Costituzione ha sancito: senza la mediazione dei corpi intermedi i diritti inviolabili non vengono né riconosciuti né garantiti, perché «non c’è uomo più violabile e violato dell’uomo isolato e solo». (G. Bruni). La persona si realizza attraverso «la relazione» vissuta all’interno dei diversi mondi: della famiglia, della scuola, del lavoro, dell’associazionismo, dei partiti, delle cooperative, del mondo del volontariato e dell’impegno sociale ed educativo.
Compito della politica è favorire queste relazioni e non averne paura. A tutte le persone di buona volontà, a noi cristiani e a tutta la Chiesa di cui siamo parte, spetta – ora più di prima – la responsabilità di esprimere relazioni gratuite, forti e durature di fronte alla diffusione di atteggiamenti ispirati a paura, chiusura, difesa di un’identità ritenuta immobile e che comunque esclude chi sta fuori di essa.
Di fronte al diffondersi di tali sentimenti, riteniamo si debba ripartire dalla parola speranza: dall’idea che non vi è altra via possibile per la convivenza civile che quella segnata da rispetto reciproco, corresponsabilità di diritti e doveri, accoglienza per chi è più in difficoltà. E che compito della politica è alimentare e sostenere questa prospettiva, aprendo a un futuro che, suscitando attese e progettualità, renda più bello e più giusto il vivere l’oggi.