Fazio-Saviano, l’ideologia ha di nuovo prevalso sul buonsenso?

di Mauro Banchini

La triste notizia del suicidio di Mario Monicelli l’abbiamo appresa, in milioni, guardando un programma diventato – anche a beneficio dei signori di Endemol – quasi un discrimine tra vita e morte. Simbolo di libertà e di «amore» anche l’estremo gesto dell’uomo che ci ha regalato tanti capolavori?

Un grande del cinema, uno che ci ha fatto ridere e pensare, arrivato a 95 anni non ce l’ha fatta più: si è gettato dal piano alto di un ospedale in contemporanea a un evento televisivo che ha raccontato «due belle storie d’amore» (quella di Mina e Piero, quella di Eluana e Beppino) rifiutandosi, però, di raccontarne tante altre. Con Vieni via con me Fazio, Saviano, Endemol hanno compiuto una precisa scelta, anche ideologica. Rispettabile ma altrettanto criticabile. Potentemente rafforzata, verrebbe fatto di dire se non avessimo il massimo rispetto per il dramma di Monicelli, dall’estremo gesto di un grande del cinema.

Devo essere sincero: ho guardato anche l’ultima puntata. L’ho fatto con lo spirito della prima: cercare il pelo nell’uovo. Pur mantenendo personali critiche per lo stile di Fazio (spesso insopportabile), l’ho trovata di vera qualità. Sia per alcuni aspetti di forma (i falsi microfoni che viaggiano da soli, lo scorrere del programma, la concatenazione delle parole con la musica e le immagini, la stessa scelta della categoria «elenco»), sia per i contenuti. I monologhi di Saviano (le storie dei ragazzi sepolti dalla casa dello studente, la denuncia sul voto di scambio) li porterei nelle scuole, come contributi di alta educazione civica: dovrebbero vederli proprio quei ragazzi che, in contemporanea, si bevevano (portando soldi, peraltro, allo stesso padrone) le fuffe e le truffe del Grande Fratello.

E che dire di don Ciotti, Pietro Grasso, Ernesto Oliviero? Quest’ultimo, nel suo elenco, ha addirittura risolto la questione che giustamente era stata posta dai «pro-life» quando, raccontando le cose viste «sulle strade di Torino», ha esaltato la «donna che da anni assiste il marito immobilizzato nel letto».

Come «pro-life» (iscritto al Movimento per la Vita) mi sono sentito bene rappresentato quando qualcuno, leggendo l’elenco delle «cose viste sotto le strade di Bucarest» ha raccontato lo scandalo dei bambini di strada. Mi sono sentito coperto quando il volontario, parlando di ciò che ha visto in Ruanda, ha raccontato come per molti poveri di quella terra la morte sia «accolta come se fosse parte della vita».

E mi sono sentito a casa mia, proprio come «pro-life», non solo quando è passata una frase di Enzo Biagi sul «rispetto della vita» ma anche quando Milena Gabanelli, perseguitata da richieste danni per 251 milioni, ha dato la spiegazione autentica di tutta questa persecuzione: sono «cause intimidatorie» per un programma di giornalismo vero, cause che chi mette in piedi sa di perdere ma sa anche che fino a quando saranno in piedi i processi, la Gabanelli non potrà più affrontare argomenti troppo scomodi. Mi direte: ma che c’entra questo con l’essere o no «pro-life»? C’entra, c’entra: visto che fra il «concepimento» e la «morte per cause naturali», in mezzo, c’è – appunto – una vita intera.

E non è forse «vita» offesa, quella delle persone che al Sud (ma solo al Sud?) vendono il loro voto per 20 o 50 euro se le elezioni sono italiane e per 80 centesimi se sono europee? Non è vita offesa sapere che Lucia, Alessio, Davide, Angela e tanti altri studenti universitari sono stati uccisi, all’Aquila, non dal terremoto ma dal cinismo di chi, al posto del cemento, nella Casa dello studente ci mise sabbia? Non è «vita» ricordare quell’oscuro muratore macedone che dopo aver salvato moglie e figlia tornò ancora sotto le macerie per recuperare la seconda figlia e, non riuscendoci, salvò altre 9 persone per finire morto lui stesso? Non è «vita» tutto ciò?

Detto questo, in effetti c’è un aspetto – non lieve – che proprio non mi va giù in tutta la vicenda. Fazio, Saviano e quelli della Endemol (azienda Berlusconi) si sono mostrati deboli con i forti quando, dietro minaccia di querela, hanno accettato che il ministro Roberto Maroni andasse in trasmissione per leggere il suo contro-elenco. Ma sono stati, ecco il punto, forti con i deboli quando hanno impedito di dare voce e video ad altre storie, altri elenchi, altri racconti; storie, certo, meno «politicamente corrette»; storie che non avranno mai grandi casse pubblicitari anche perché interpretate da persone miti.

Se i motivi scelti da Endemol, Fazio e Saviano per dire no ai «pro-life» erano quelli ufficialmente detti (noi presentiamo solo «racconti», non tesi contrapposte), allora non si capisce proprio perché dare, invece, accesso al potente ministro degli Interni che peraltro, con le iniziali accuse di Saviano rivolte al partito della Lega, lui come ministro proprio non c’entrava nulla. Se hanno fatto bene a dare spazio a Maroni, allora hanno sbagliato a non darlo a Melazzini. Ma se hanno fatto bene a non far entrare il debole Melazzini allora hanno sbagliato a far entrare il potente Maroni. O davvero ha ragione chi sostiene che l’ideologia, anche stavolta, ha vinto sul buonsenso?

Questo il limite di un programma efficace. Caro Saviano: ti voglio bene, ma ti ammirerei ancora di più se, retorica a parte, rispondessi su questo, ammettendo o che avete fatto un errore o che la vostra è stata una scelta «ideologica».