Toscana

L’aviaria mette a rischio i laghi della Piana

DI MARCO LAPICaccia e ambiente, binomio possibile? Secondo il Wwf no, ma certi fatti e un parere autorevole come quello di Gilberto Tozzi, direttore del Centro di scienze naturali di Galceti, fanno propendere per un giudizio diverso. Oggetto della disputa i laghi della Piana tra Firenze, Prato e Pistoia, alcuni dei quali gestiti dall’associazione ambientalista che ha per simbolo il panda, – gli stagni di Focognano (nella foto) e di Val di Rose, i primi in convenzione con il comune di Campi Bisenzio e gli altri per conto dell’Università di Firenze – e altri compresi nel parco signese dei Renai. Ma per il resto la sopravvivenza delle altre aree umide, ben 40, si deve all’impegno – anche economico – dell’Associazione Lagaioli Toscani presieduta da Mario Cantini, un club di cacciatori che cura piccoli e grandi bacini, non più naturali come ai tempi del Boccaccio e della sua celebre novella su Chichibio e la gru, ma non per questo meno importanti da un punto di vista ecologico, racchiusi come sono nello spicchio di Toscana più antropizzato e densamente popolato.

I problemi sono sorti con l’entrata in vigore dell’ordinanza emanata lo scorso ottobre dal Ministero della salute per prevenire possibili contagi di influenza aviaria. Tra le norme, una in particolare – il divieto dell’uso di uccelli acquatici vivi come richiamo – rende di fatto impossibile la prosecuzione dell’attività venatoria, perché senza richiami la caccia ai migratori – tuttora consentita – resta un puro miraggio. Ci sarà certo da seguire l’evolversi della diffusione del virus, il cui ulteriore avvicinamento potrebbe anche portare a un «blocco dei fucili» a livello europeo.

Ma intanto i cacciatori della Piana hanno lanciato il loro grido di allarme: serve – dicono – una deroga all’ordinanza distinguendo fra richiami fissi e mobili, perché negli stagni compresi tra Sesto, Campi Bisenzio e Signa i richiami vivono stabilmente in grandi gabbie senza nessuna possibilità di contatto con i migratori. Non solo: l’opera dei «lagaioli» è importante per la stessa verifica dello stato di salute dei volatili, per la quale collaborano già da diversi anni con l’Acma, l’Associazione cacciatori migratori acquatici. Ma se la normativa non cambierà, come ha affermato il presidente Cantini, saranno costretti «a cessare ogni attività e a lasciar seccare i laghi».

Un grido di allarme che ha trovato dei preziosi alleati in naturalisti e ricercatori come il professor Alessandro Poli dell’Università di Pisa e come il già citato Tozzi, che si attivati per un possibile emendamento in quanto, come ha affermato il direttore del Centro di Galceti, «la scomparsa dei laghi sarebbe una catastrofe». Mentre Carlo Scoccianti, responsabile dell’oasi Wwf di Focognano, non ha perso occasione per «sparare a zero» sui cacciatori e sui loro stagni che, a suo parere, sarebbero solo una «trappola micidiale» per i volatili di passaggio e che potrebbero acquisire un reale valore naturalistico solo se chiusi alla caccia. Ma chi garantirebbe la loro sopravvivenza? Secondo Cantini, dietro le parole di Scoccianti si cela solo l’interesse a candidare il Wwf alla gestione delle altre aree umide con conseguente, notevole impegno di denaro pubblico, sulla falsariga di quanto avviene a Focognano con risultati che il presidente dei Lagaioli giudica tutt’altro che apprezzabili. La polemica appare destinata a protrarsi a lungo: ma intanto non si può fare a meno di riconoscere che se quei quaranta laghi oggi esistono e contribuiscono a migliorare un ecosistema compromesso come quello della Piana è solo grazie all’opera dei cacciatori che li hanno voluti e curati.