Cultura & Società

Pena di morte: mons. Gallagher (Santa Sede), «mai giustificata come ipotesi di legittima difesa»

La pena capitale con il suo «trattamento crudele e degradante», appare «contraria al significato di ‘humanitas’ e di misericordia», ha sottolineato mons. Gallagher per il quale «l’aumento dei Paesi che hanno appoggiato la moratoria è un segno dello sviluppo della consapevolezza che questo strumento può essere sostituito con mezzi più efficaci e meno brutali». Il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati ha ricordato che «la pena di morte è stata a lungo ritenuta come il mezzo estremo ma legittimo per tutelare il bene comune» ma che nel corso degli anni si è avuto «uno sviluppo positivo del pensiero della Chiesa Cattolica». «Il rispetto della dignità di ogni persona e il bene comune sono i pilastri su cui la Santa Sede ha sviluppato la sua posizione. E questo è sottolineato anche dalla nuova versione del Catechismo della Chiesa Cattolica», ha spiegato mons. Gallagher ricordando che la «Santa Sede è impegnata per l’abolizione della pena di morte e questo impegno è concretizzato nei colloqui bilaterali, negli interventi nei forum nazionali e internazionali, nei congressi mondiali, come quello che si terrà a Bruxelles che si terrà a febbraio».

La pena di morte è una «pena infame che non ha nessuna giustificazione perché non c’è giustizia senza vita», ha sottolineato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ribadendo che «vale la pena combattere per la sua abolizione perché questa battaglia toglie ogni legittimità a qualunque morte, a qualunque violenza, a qualsiasi guerra dichiarata o no». Impagliazzo ha affermato che «battersi per diritto alla vita sempre, anche del colpevole, lancia un segnale contro tutte le violenze». Si tratta, ha spiegato, «di un messaggio cultura di estrema importanza: lottare contro la pena di morte significa lottare per la vita, per tutte le vite, e rappresenta una contestazione radicale contro la morte violenta, sempre ingiustificabile ed evitabile». Impagliazzo ha fatto riferimento «al quadro di violenza quotidiana desolante che è una ferita, una cicatrice che sfigura tutte le società» e ha quindi ricordato «la morte delle donne, i femminicidi, gli stupri di guerra, le schiavitù sessuali imposte da Daesh, le torture, i matrimoni precoci, il mercato delle spose bambine, lo scambio di favori sessuali in cambio di aiuti umanitari, la morte data dal terrorismo e dalla guerra, la situazione dei Rohingya, il conflitto in Yemen dove i bambini muoiono per i bombardamenti indiscriminati, la morte degli attivisti dei diritti umani e dei giornalisti».

L’impegno per l’abolizione della pena di morte è attuale e necessario soprattutto in un tempo in cui «domina la percezione della realtà sulla realtà e la santa ignoranza odierna sembra aver tagliato legame tra la cultura e ogni idea umana per affidarla all’emotività». «È facile – ha lamentato – lasciarsi trascinare dopo efferati delitti e trovare una giustificazione alla pena di morte». Che, ha aggiunto, «corrisponde al bisogno di sicurezza, di purezza di identitaria, di radicalismo religioso e viene utilizzata e giustificata dal terrorismo fanatico o da regimi autoritari».

Un appello al Governatore della California, Jerry Brown, «a dichiarare la moratoria della pena di morte nel suo Stato e avviare un percorso per la commutazione delle pene dei condannati» è stato lanciato oggi da Mario Marazziti, storico portavoce della Comunità di Sant’Egidio e già presidente della Commissione Affari sociali della Camera dei deputati. Quello della California è «il braccio della morte più grande dell’Occidente», ha spiegato Marazziti che ha chiesto al «Governatore Brown, un grande politico americano che lascerà l’incarico a fine anno, di essere l’uomo che cambia la storia e la cambia dalla parte della vita».

Nel suo intervento all’Incontro internazionale dei ministri della Giustizia, Marazziti ha evidenziato che «oggi più che mai è il tempo di un rifiuto radicale della morte e di una cultura di morte». «La risposta alla violenza e alla morte – ha ribadito – è essere diversi». Specialmente in «tempi segnati dal ritorno di attualità della guerra». «E toni di guerra, violenti, hanno fatto la loro comparsa nel normale dibattito politico di paesi democratici. Classi dirigenti intere si muovono e alimentano dentro una cultura del nemico», ha denunciato Marazziti per il quale «è in questi tempi che acquistano ancora più importanza le leggi» perché «difendono dalle democrature, dalle popolocrazie, dagli umori mutevoli o manipolabili per qualche tempo di opinioni pubbliche mobili».

«Una sconfitta per lo Stato». Così Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, nel suo intervento al convegno ha definito la pena di morte sottolineando che essa rappresenta «un momento di resa totale dello Stato rispetto alla funzione rieducativa». Ma anche «un modo indegno con cui lo Stato scarica la propria responsabilità sull’individuo che deve pagare se ha sbagliato» mentre il suo compito dovrebbe essere quello «di prendere per mano e accompagnare i colpevoli in un percorso di recupero e riscatto» e «di riconsegnare alla società un individuo migliore di quello che il sistema carcerario ha accolto». Inoltre, «infliggendo la pena capitale, lo Stato si autopreclude la possibilità di rivalutare e eventualmente modificare le sentenze, che è il compito di ogni Paese civile», ha affermato Bonafede.

Secondo il ministro della Giustizia, «l’idea di giustizia non si limita alle leggi che scriviamo ma passa anche attraverso i valori che dobbiamo coltivare pure fuori dai confini nazionali». «Forte della sua tradizione giuridica, l’Italia – ha scandito Bonafede – dice a testa alta, al mondo, che la giusta direzione è quella dell’abolizione della pena di morte».