Alla ricerca della buona politica

Il Messaggio di Papa Francesco per la Giornata della pace è davvero molto stimolante sul piano della definizione di cosa debba intendersi al momento attuale per pace e per la sua violazione; ma soprattutto impone di riaprire il discorso relativamente alle attuali caratteristiche della «buona politica», alle caratteristiche effettive delle nostre istituzioni e quindi alla sorte delle nostre democrazie, da cui diciamo di essere tanto profondamente coinvolti.
La pace non consiste solo nella assenza della guerra e del «solo equilibrio delle forze e della paura», ma nell’esistenza di ordinamenti caratterizzati dal «rispetto di ogni persona, qualunque sia la sua storia» e dal «rispetto del diritto e del bene comune, del creato che ci è stato affidato e della ricchezza morale trasmessa dalle generazioni passate». Non a caso, il messaggio parla della pace addirittura come «di un grande progetto politico che si fonda sulla responsabilità reciproca e sull’interdipendenza degli esseri umani». Un obiettivo quindi assai impegnativo e il cui possibile conseguimento dipende dalla presenza e dall’azione di istituzioni politiche definibili come «buona politica».
Ma il messaggio è esplicito nell’affermare che la «buona politica» non esiste naturalmente, ma va attivamente ricercata e conseguita, essendo anzi tutt’altro che scontata nel mondo attuale, che appare invece prevalentemente caratterizzato da «un clima di sfiducia che si radica nella paura dell’altro o dell’estraneo, nell’ansia di perdere i propri vantaggi, e si manifesta purtroppo anche a livello politico, attraverso atteggiamenti di chiusura o di nazionalismi che mettono in discussione quella fraternità di cui il nostro mondo globalizzato ha tanto bisogno».
D’altra parte, non vi è dubbio che attualmente le aree territoriali nelle quali si manifestano vere e proprie guerre o fenomeni gravi di disarticolazione sociale o comunque di fuga di massa di migranti, rappresentano larga parte del mondo. Questo mentre negli altri paesi che sono in pace ed economicamente più sviluppati stanno crescendo atteggiamenti di chiusura nazionalistica e vengono diffusi molteplici allarmismi ostili all’accoglienza dei migranti, anche al di là di ogni considerazione puramente economica o razionale.
Ma allora, se soltanto la buona politica è «al servizio dei diritti umani e della pace», occorre intendersi bene sulle caratteristiche che distinguono la buona politica da quella che non lo è.
Nel messaggio pontificio il confine passa fra la politica come «servizio», che «può diventare veramente una forma eminente di carità», e la cattiva politica, che addirittura può «diventare strumento di oppressione, di emarginazione e perfino di distruzione». Questa radicale divaricazione dipende dalle classi politiche – credenti o non credenti che siano – che dovrebbero riuscire a mettere davvero in pratica nell’attività politica «quelle virtù umane che soggiacciono al buon agire politico: la giustizia, l’equità, il rispetto reciproco, la sincerità, l’onestà, la fedeltà», evitando, invece, di praticare «i vizi della vita politica», che il messaggio severamente definisce «la vergogna della vita pubblica».
Eppure dopo i drammi della seconda guerra mondiale, con il manifestarsi della immensa potenza distruttrice delle armi moderne e delle aberrazioni dei totalitarismi, sia a livello nazionale che a livello mondiale, si è cercato e si è anche largamente riusciti a cambiare quello che dovrebbe essere il fondamento delle convivenze a livello nazionale ed a livello internazionale, superando i notevoli limiti del primo costituzionalismo liberale e la sua dimostrata debolezza dinanzi ai totalitarismi: le Costituzioni democratiche, da una parte, e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dall’altra, hanno segnato positivamente la stagione del primato del personalismo rispetto alle fasi dell’illimitato potere degli Stati, hanno affermato con chiarezza i valori della giustizia accanto a quelli di libertà, hanno recuperato e rafforzato le istituzioni dello Stato di diritto, hanno cercato di garantire l’effettiva democraticità delle istituzioni pubbliche, hanno almeno in parte ridotto l’assoluta sovranità degli Stati nazionali rispetto alla tutela dei diritti umani.
Ma successivamente tutto ciò è stato solo parzialmente realizzato, spesso con grande lentezza, e poi è stato non poco contraddetto da diffuse prassi difformi sia a livello nazionale che internazionale, mentre si sono sviluppati impetuosamente alcuni nuovi fenomeni, sia sul piano sociale che su quello tecnologico, ricchi di tante potenzialità positive ma anche di tanti seri pericoli.
Basti qui accennare a quanto sul piano internazionale hanno prima pesato i gravi ritardi perfino sul versante delle politiche di decolonizzazione, per di più spesso seguite da forme prolungate di neo-colonialismo, per poi lasciare il campo al predominio di vere e proprie politiche internazionali di potenza, se non di imperialismo militare.
Sempre a livello internazionale si sono manifestati nuovi imponenti fenomeni come quelli connessi alla mondializzazione della finanza ed all’illimitato dominio economico delle maggiori potenze politiche ed economiche, con tutte le conseguenze che ne sono derivate nei diversi territori (si pensi al mantenimento di alcune paurose diseguaglianze sociali ed economiche) e pure nella ripresa di massa dei processi migratori. Ciò anche per effetto delle radicali trasformazioni dei mezzi di informazione e di comunicazione, nonché degli stessi strumenti di collegamento.
Nelle aree più sviluppate, a livello nazionale la disciplina delle moderne Costituzioni democratiche ha sicuramente contribuito a produrre rilevanti miglioramenti nella vita associata ed in particolare la selezione di nuove classi politiche, ora sottoposte a molteplici forme di controllo che prima erano state invece largamente carenti, ed anche l’adozione e sviluppo di vaste politiche sociali, che hanno trasformato profondamente l’assetto sociale. Peraltro tutto ciò passava in larga parte tramite l’esistenza ed il funzionamento di forti controlli, la presenza di diffusi valori etici, nonché la presenza di un efficace sistema di partiti politici e di autonomi soggetti sociali, fattori che però sono entrati tutti rapidamente in crisi per alcune profonde trasformazioni che si sono succedute. Mentre infatti, i partiti politici si sono largamente chiusi su se stessi e si sono quindi resi rapidamente prigionieri del potere da loro stessi esercitato, gli altri soggetti sociali hanno molto risentito dei grandi processi di sviluppo economico e sociale prodotti dalle enormi trasformazioni economiche e produttive che si sono registrate nelle nostre società , tanto da renderle spesso addirittura irriconoscibili: penso ai radicali mutamenti sociali e culturali, prima ancora che politici, che sono intervenuti nelle nostre società e che sono arrivati a produrre addirittura la scomparsa di alcuni modi di produzione e di vita collettiva, di stratificazioni sociali, di valori condivisi (ivi compresi vari incidenti sulla vita collettiva, dal rispetto della legalità nelle sue diverse accezioni, alla corsa al potere ed all’arricchimento). Sul piano soggettivo si è perfino manifestato un nuovo tipo di individualismo, tutto teso alla rivendicazione di ogni preteso diritto, poco sensibile ai valori comunitari e solidaristici, se non dominato da aggressività e invidia.
Né si tratta soltanto dei molteplici effetti che si sono prodotti sulle persone e sui gruppi sociali in conseguenza delle molto migliori condizioni sociali ed economiche, o dell’utilizzazione di servizi sociali tanto accresciuti e delle tante nuove tecnologie, ma perfino della mutata rappresentazione della realtà circostante ad opera dei nuovi mezzi di comunicazione, tanto penetranti quanto potenzialmente manipolatori della realtà. E ciò senza considerare l’azione e la presenza di vere e proprie organizzazioni di manipolazione e/o di disinformazione, promosse da grandi interessi economici o da vere e proprie organizzazioni politiche nazionali e straniere.
Da tutto ciò vi sono state evidenti ricadute sulle prassi nel funzionamento delle nostre istituzioni, in cui si sono fatte largo prima il prepotere di alcune classi politiche autoreferenziali e la diffusa elusione del rispetto della legalità, e successivamente la caduta verticale delle progettazioni politiche fondate sui valori personalisti e solidaristi, il sostanziale rifiuto di operare alla luce del principio di eguaglianza e della pari dignità di tutti gli uomini, se non addirittura la reintroduzione nei rapporti sociali e nella politica della pericolosa categoria del «nemico».
Tutto ciò rivela che non è venuta progressivamente in gioco solo la corretta applicazione di alcune disposizioni costituzionali relative al funzionamento delle istituzioni, ma la stessa fedeltà al nucleo fondamentale dei valori costituzionali che sono alla base dei nostri sistemi democratici. Troviamo una conferma di questo preoccupante fenomeno nella stessa analitica elencazione che il messaggio pontificio fa dei «vizi della politica» («dovuti sia ad inettitudine personale sia a storture nell’ambiente e nelle istituzioni»): vi si parla, infatti, non solo della «corruzione» e della «negazione del diritto», del mancato rispetto delle regole comuni, dell’arricchimento illegale, ma pure della giustificazione del potere mediante la forza o con la pretesa arbitraria della «ragion di Stato», nonché della «tendenza a perpetuarsi nel potere, la xenofobia ed il razzismo, il rifiuto di prendersi cura della Terra, lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali in ragione del profitto immediato, il disprezzo di coloro che sono stati costretti all’esilio».
Un elenco preciso di vizi tutti assai gravi, ma perfino in larga parte riferibili ad un modello di rapporti sociali del tutto estraneo alle piattaforme di valori e di principi del moderno costituzionalismo democratico. Ciò significa che stiamo vivendo un passaggio nuovo e difficile: malgrado la diffusa enfatica affermazione di fedeltà ai principi e valori di tante Costituzioni democratiche ed anche della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, in realtà non siamo solo dinanzi a loro larghe disapplicazioni, ma addirittura al tentativo di imporre nella vita collettiva diversi, se non contrapposti, valori e principi.
Di recente, addirittura, appaiono vistosamente evidenti in parti significative delle classi politiche attualmente al potere in molti paesi fra i più potenti e ricchi la volontà di affermare nuovi principi e regole fondate in realtà sulla difesa degli esistenti privilegi sociali ed economici e sulla sostanziale accettazione delle tante disparità esistenti a livello nazionale ed internazionale; al tempo stesso, ai valori della pari dignità e della solidarietà si contrappongono la giustificazione di insuperabili gerarchizzazioni fra le diverse classi sociali e fra i diversi popoli e di conseguenza la giustificazione di ogni tipo di resistenza a processi egualitari. Addirittura riemergono tentativi di rivitalizzare nazionalismi fuori tempo e si arriva ad ammettere, senza problemi e limiti, l’utilizzazione di ogni tipo di conflittualità, se non della forza, in presenza di contrapposizioni interne ed internazionali. Al tempo stesso, si cerca perfino di sminuire l’importanza dinanzi all’opinione pubblica dei vigenti principi e valori costituzionali, anche diffondendo impropri allarmismi sui possibili effetti negativi che deriverebbero dalla loro applicazione: tipico il confronto attuale sulle migrazioni, con tutte le sue forzature dialettiche ed argomentative.
Ne ciò basta, se di recente addirittura primari esponenti politici sembrano sistematicamente utilizzare tecniche di denigrazione personale, se non di linciaggio mediatico, contro coloro che ritengano loro avversari nel confronto politico.
Ad esempio, non si può, riferendosi alla nostra Costituzione, non rilevare che valori assolutamente essenziali come il riconoscimento dei diritti umani fondamentali e l’ineludibile solidarietà fra le persone (art. 2 Cost.) e l’impegno delle istituzioni repubblicane a contribuire a rimuovere le diseguaglianze di fatto (art. 3 Cost.) vengono continuamente contraddetti da dichiarazioni e norme che sembrano essenzialmente finalizzate ad accentuare diffidenze ed ostilità verso i soggetti considerati estranei ed in particolare gli stranieri poveri, ed anche a produrre la loro marginalizzazione sociale e la riduzione al minimo delle politiche di sostegno.
D’altra parte, un’agevole riprova empirica della disapplicazione sostanziale perfino delle tutele legislative già esistenti (aventi preciso fondamento nella Costituzione) relativamente agli immigrati comunque presenti sul territorio nazionale, la si può avere facilmente considerando la mancata repressione dei pur noti episodi di lavoro del tutto irregolare di tanti fra loro e delle altrettanto note ignobili condizioni igienico-sanitarie in cui si tollera che vivano o sopravvivano nelle varie baraccopoli.
Non può nemmeno sfuggire che le continue polemiche contro le immigrazioni irregolari, se non contro i cosiddetti «clandestini», hanno per lo più come riferimento polemico coloro che intendono entrare nel territorio nazionale tramite l’elusione dei controlli di frontiera, ma non coloro che (assai più numerosi), sono entrati regolarmente ma vi si trattengono al di là dei termini temporali prescritti. Tutto ciò, per di più, mentre alla legislazione che molto largamente impone agli immigrati irregolari il rientro nel paese di appartenenza non corrisponde affatto una politica di accordi con gli Stati che dovrebbero essere destinatari di questi rientri, quasi che lo scopo di tutto ciò sia l’incremento delle marginalità (ma a quale scopo?).
D’altra parte alla presenza nel nostro paese di circa cinque milioni di stranieri da tempo regolarmente residenti e pacificamente operanti, ma privi della cittadinanza, si è di recente risposto con l’allungamento dei tempi per la «concessione» della cittadinanza, mentre al tempo stesso si sono mantenuti tutti i privilegi in termini di riconoscimento della cittadinanza per i discendenti dei nostri emigrati nei secoli trascorsi.
Purtroppo quindi, anche nel nostro paese, siamo ben lontani dal «buon governo» e pertanto non ci si può certo illudere che la stessa ricerca della vera pace sia davvero effettivamente perseguita.
Ma fra le «beatitudini del politico» elencate nel messaggio ci si riferisce al lavoro «per il bene comune» e all’impegno «nella realizzazione di un cambiamento radicale» ed anche alla necessità di operare senza «paura».
*presidente emerito della Corte costituzionale