Legge regionale sull’immigrazione, un atto nichilista e destabilizzante

di Pietro De Marcomembro del Comitato promotore del referendum abrogativo della legge regionale 29/2009

La legge regionale 29/2009 (testo della legge), recentemente approvata, Norme per l’accoglienza, l’integrazione partecipe e la tutela dei cittadini stranieri nella Regione Toscana, è nota come legge sull’immigrazione, o «pro-clandestini» come sottolineano i suoi oppositori. Impugnata dal governo nazionale il 15 luglio scorso per illegittimità, in Toscana dovrà probabilmente sottoporsi al vaglio di un referendum abrogativo, che farà perno sulla destinazione di tutele e vantaggi previsti dalla legge toscana alla totalità degli «stranieri comunque dimoranti sul territorio regionale». Si obietta che i «dimoranti» cui la 29/2009 si indirizza sarebbero, in virtù di quel «comunque» (cioè «anche se privi del titolo di soggiorno»), e non potrebbero non essere del tutto realisticamente, i dimoranti irregolari e clandestini sull’intero territorio nazionale e oltre, poiché non esiste né è possibile alcuna discriminante certificazione di dimora in questa o in altra regione. Dunque una Regione voragine, un illusorio black hole sociodemografico.

Ma riflettiamo su qualcosa di evidenza meno immediata, più insidioso, dunque, che impregna tutto il testo del legislatore regionale. Un critico, davvero preveggente, del nichilismo contemporaneo sosteneva, già cinquant’anni fa, che «disposizioni e piani d’azione nichilistici possono distinguersi per buone intenzioni e spirito filantropico. Spesso nascono in diretta opposizione a [dei] disordini, con intenzioni salvifiche, e nondimeno continuano, rafforzandoli, i processi iniziati. La conseguenza è che per lunghi tratti il giusto e l’ingiusto diventano pressoché indistinguibili, e più per chi agisce che per chi subisce. […]  Se fosse possibile considerare il nichilismo come qualcosa di specificamente malvagio, la diagnosi sarebbe più favorevole […]. Ciò che è più allarmante è [invece] la mescolanza, per non dire la totale confusione, del bene e del male, che spesso sfugge all’occhio più acuto» (Ernst Jünger, Oltre la linea). Non si potrebbero trovare formule migliori, e più profonde, per dire lo sbigottimento del lettore, oggi, e domani possibile vittima, della legge.

Solo un esempio. Ciò che la Regione «promuove» a favore dei «cittadini stranieri» (comunque dimoranti) è giustificato, reiteratamente, nella 29/2009 con la salvaguardia della «coesione sociale». Per ottenere questo, uno spericolato disegno ordinatore si predispone a generare e regolarizzare sul territorio regionale un flusso indeterminato di uomini e donne, potenzialmente destabilizzante, negli interstizi della popolazione residente. Quest’ultima dovrebbe comprendere e accettare l’imponderabile immissione di «cittadini stranieri», realizzata in deroga alle leggi nazionali e per canali oggettivamente privilegiati, in cambio della pace sociale.

Non si chiede al legislatore regionale di essere sociologo (anche se esibisce, nella frondosità del linguaggio solidaristico, una presunzione di esserlo), ma sarebbe opportuno sapesse che gran parte degli esperimenti di scambio tra convivenza interculturale, pianificata dall’alto, e coesione sociale non funzionano. Nel caso particolare l’incontrollabile sistema di facilitazioni ad personam dedotte, secondo una retorica nihilistica estranea al giudizio razionale del bene e del male, a partire dai «diritti inviolabili della Persona» e dal suo «primato» (art. 1), potrebbe rivelarsi capace di trasformare la «coesione sociale» in atto (non senza difficoltà, ma in atto) in una conflittualità radicata sul risentimento dei residenti reali e legali, e a tutti gli effetti responsabili del loro status. E sul risentimento dei destinatari di questa legge malata di onnipotenza; poiché, com’è noto, chi troppo riceve e gratuitamente non perdona il donatore.