Problemi di bioetica e principi morali nella giurisprudenza comunitaria

La recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 18 ottobre 2011, e quella della Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, del 3 novembre 2011, devono essere segnalate perché rappresentano una svolta estremamente significativa nella giurisprudenza comunitaria in tema di bioetica. Esse vengono a contraddire indirizzi antecedenti, che venivano da molti considerati irreversibili. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione si è pronunciata a favore della tutela dell’embrione, di cui ha anche affermato che è vietata la distruzione, mentre la sentenza della Corte Europea di Strasburgo ha avanzato dubbi circa la liceità della fecondazione eterologa, consentendo agli Stati membri di vietarla espressamente.

I mutamenti, in senso garantista del diritto alla vita, delle sentenze che abbiamo richiamato, costituiscono un cospicuo passo avanti per la tutela dei diritti umani, e quindi dei valori morali con i quali quelli si identificano. Il riconoscimento dei diritti inviolabili non può essere strumentalizzato per soddisfare qualunque desiderio o capriccio arbitrario delle persone, ma deve essere rispettoso della vita e dell’integrità degli individui, e quindi, in sintesi, della dignità umana. Attraverso queste sentenze sono stati fatti valere a questo proposito principi etici, per trarne le necessarie conseguenze sul piano giuridico.

Nel diritto comunitario molte sono le disposizioni garantiste, sia in singole e specifiche fonti normative, che nei testi fondamentali. La normativa comunitaria – così come quella del nostro o di qualunque altro ordinamento giuridico libero e democratico – assicura il rispetto di certi principi morali, rendendoli giuridicamente coattivi. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea dispone all’art. 1: “La dignità umana è inviolabile“. E statuisce l’art. 2: “Ogni persona ha diritto alla vita“ (1° paragrafo). In materia di diritto all’integrità della persona dispone altresì l’art. 3: “Ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica“. (1° paragrafo); “Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: …b) il divieto di pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone, c) il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro, d) il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani“ (2° paragrafo).

Questi principi fondamentali hanno trovato attuazione, a livello comunitario, in numerosi testi normativi, che sono stati richiamati a proposito delle questioni di specie affrontate dalle recenti sentenze. E’ stata pertanto esclusa la brevettabilità di invenzioni riguardanti l’utilizzazione di embrioni umani a fini industriali e commerciali, nonché a fini di ricerca scientifica. E’ stato vietato ogni esperimento che implichi la distruzione degli embrioni, ed è stata consentita soltanto l’utilizzazione degli embrioni a finalità terapeutiche o diagnostiche. Dubbi etici sono stati avanzati sulla liceità della fecondazione eterologa, e si è consentito agli Stati membri di vietarla espressamente.

Si è in tal modo dato attuazione ad una normativa garantista, che a volte è stata apertamente disattesa. Il problema è sempre stato, per la salvaguardia di diritti umani, non quello della loro astratta tutela normativa, che in quei termini sempre sussiste, ma quello della pratica e concreta attuazione dei precetti che li tutelano. La norma giuridica che impone l’osservanza dei principi etici è come una pagina in bianco, perché richiama quei principi, ma nello stesso tempo non ne definisce ulteriormente la portata, la cui determinazione è lasciata all’interprete. Tutto quindi dipende dalla percezione dei valori morali, che abbia l’autorità che è chiamata ad applicarli. Si tratta di stabilire cosa sia bene o male in determinate situazioni. E’ il principio morale che deve essere compreso ed accertato, perché è questo che forma il contenuto della norma giuridica garantista, che deve essere applicata. La norma morale, come realtà pregiuridica, non è diritto in sé, ma lo diventa, in quanto entra a far parte del contenuto di una norma. I diritti inviolabili dell’uomo sono prescrizioni positive come tutte le altre, ma che hanno un contenuto particolarissimo, che è costituito da precetti morali, che vengono resi giuridicamente vincolanti. La norma viene dotata di un proprio contenuto, attraverso il richiamo a principi morali, la cui valutazione richiede scelte delicate e difficili.

La valutazione di tali principi, per essere effettuata in maniera corretta, presuppone la negazione del relativismo etico. La garanzia dei diritti umani può sussistere unicamente qualora i principi richiamati abbiano valore assoluto, perché solo allora sono in grado di contrastare ogni eventuale degrado morale della società. Qualora invece si rimetta la loro consistenza alla percezione che ne abbia la società, ogni richiamo alla obbligatoria osservanza di quei principi perde di significato, perchè viene legittimata qualunque situazione che si verifichi all’interno del corpo sociale. La tutela dei diritti umani non può esservi in quella ipotesi, perché ne resta completamente vanificata. Chi accetta un’interpretazione relativistica del principio etico viene praticamente a disconoscerlo, anche se in astratto ne riafferma l’operatività. Se il principio morale viene ricondotto unicamente al consenso che ad esso viene dato dai consociati, la funzione garantista della norma morale viene meno nella sua integrità, perché i consociati sono liberi di non osservarlo; così che viene violato il precetto che ne impone l’osservanza.

Assai difficilmente la giurisprudenza – e non solo quella comunitaria – affronta il problema morale nei suoi specifici contenuti; perché di consueto ci si sofferma unicamente sugli aspetti tecnici della fattispecie esaminata, per arrivare alla conclusione voluta, eludendo l’analisi dei principi di fondo, che spesso condurrebbero ad opposti risultati. Queste sentenze si discostano da questa tendenza, affrontando espressamente il problema etico nei suoi contenuti, e riconoscendo l’assolutezza dei principi, che le norme comunitarie hanno richiamato. Sotto questo aspetto, tali pronunce appaiono anche più significative della precedente, pur importantissima, sentenza sul crocifisso nelle aule scolastiche che ne consente la presenza, in quanto il problema di fondo non è stato eluso attraverso argomentazioni giuridiche di altra natura – sostanziali o processuali -, ma è stato espressamente affrontato e risolto. Nella sentenza sul crocifisso soltanto indirettamente si sono riaffermati i principi morali di fondo ai quali si ispira l’ordinamento comunitario; mentre in quelle più recenti in materia di bioetica questo è accaduto, ed ha condotto a risultati significativi. La giurisprudenza comunitaria sta dunque procedendo in questa direzione in maniera sempre più esplicita; ed è doveroso sottolinearne l’intrinseco valore, ed il significato che essa assume per la tutela dei diritti umani.

Alessandro CatelaniOrdinario Diritto pubblico Università Siena