Strategie contro la povertà
Per iniziativa dell’Associazione «Incontri», si è svolto a Firenze un convegno su «La fine della povertà. Quali strategie?». Il titolo del convegno faceva riferimento a un recente libro di Jeffrey Sachs, uno dei più importanti economisti dello sviluppo. Nel Convegno, le tesi di Sachs- che a sua volta commentava con favore il programma fissato nel 2000 dalle Nazioni Unite per la eliminazione della «povertà estrema» sono state discusse. Riportiamo qui l’intervento di uno degli esperti che hanno partecipato al convegno, il dottor Franco Viciani, che ha operato in molti Paesi per conto della Fao. Altro materiale del convegno è consultabile in questo sito.
a) l’obiettivo di dimezzare la povertà entro il 2015 e, per conseguire questo obiettivo,
b) l’aumento degli aiuti ad un livello prestabilito.
Il primo di questi elementi è stato criticato per essere stato fissato sulla base di metodologie dubbie. Il secondo per essere inefficace.
La prima critica è mal posta. Fissare un dato quantitativo e una data per raggiungere un obiettivo non è una previsione a carattere scientifico. È anzitutto un mezzo per porre all’attenzione dei governi e dell’opinione pubblica un imperativo etico, politico ed economico. Etico perché resta intollerabile che circa un miliardo di persone vivano in condizioni di povertà e di disuguaglianza estreme. Politico ed economico perché la povertà è destinata a creare migrazioni di massa, profondo scontento sociale, germi di rivolta e manovalanza disperata per chi ha interesse a fomentare disordini e terrorismo. In secondo luogo, è uno strumento utile a misurare il progresso o meno verso l’obiettivo fissato e – mediante questo strumento – lanciare ulteriori messaggi di stimolo e di allarme ai governi e all’opinione pubblica.
La seconda critica è invece in buona parte fondata. Il punto è che gli aiuti da soli non bastano. Non c’è evidenza statistica risolutiva sul ruolo degli aiuti nel determinare lo sviluppo e l’eliminazione della povertà. Si danno casi di paesi che con poco aiuto hanno fatto grandi progressi (la Cina, ad esempio). Vi sono peraltro molti paesi il cui contesto culturale e istituzionale e la dotazione di risorse non consentono prospettive di sviluppo senza qualche forma di aiuto esterno.
La proposta di Sachs sull’ammontare degli aiuti necessari per raggiungere l’obiettivo appare comunque ottimistica. L’efficacia degli aiuti dipende infatti da molti fattori, quali: (a) A chi vanno? (b) Da chi vengono? (c) Che tipo di aiuti? (d) A quali condizioni?
Quanto al punto (a), Sachs sopravaluta molte cose: le buone intenzioni e l’onestà dei governi; la destinazione effettiva degli aiuti (vanno davvero a che ne ha bisogno? chi se ne appropria?); la capacità di utilizzo da parte dei destinatari, che dipende da fattori culturali, istituzionali ecc.
Quanto al punto (b), molti aiuti sono determinati da interessi politici e economici dei governi donatori – e la loro destinazione dipende spesso da tali interessi (quanti aiuti sono vincolati a finanziare importazioni dal paese donatore, indipendentemente dall’utilità per il paese ricevente? Quanti vanno a finire in armamenti, fomentando disordini e conflitti? ecc.).
Riguardo a (c), la proposta di Sachs punta troppo sulla «massa critica», ma i grandi investimenti sono utili solo se esiste la capacità imprenditoriale in grado di trarne vantaggio. Occorre inoltre che l’aiuto sia indirizzato ai settori da cui i poveri traggono la loro esistenza.
Le condizioni (d): ecco un elemento di grande importanza. La «condizionalità» è stata utilizzata dalle grandi istituzioni finanziarie per far corrispondere le politiche economiche dei paesi «beneficiari» all’orientamento economico prevalente nei paesi donatori, sulla base di considerazioni a-prioristiche e indifferenziate, con risultati in buona parte deludenti. Occorre invece capire i bisogni di ogni paese e adattarsi flessibilmente alle circostanze. Occorre accertarsi che gli aiuti incidano realmente sui fattori che generano povertà e non rappresentino semplici palliativi che, una volta finiti i soldi, lasciano le cose com’erano. Occorrono controllo, monitoraggio e assunzione di responsabilità.
Un esempio di criteri elaborati per la destinazione degli aiuti è quello proposto dalla Fao per la cooperazione in ambito agro-alimentare e rurale. Si tratta del «Twin-Track Approach», o strategia del doppio binario. Essa si basa su due premesse. Primo, l’altissimo costo sia umano che economico della fame e della malnutrizione, in termini di malattie, mortalità, ridotta capacità lavorativa e intellettiva. Secondo, l’effetto trainante che, nelle zone più povere, possono avere le iniziative volte ad aumentare la produzione e la produttività agricole, creando un possibile circolo «virtuoso» fra aumentata disponibilità di beni alimentari, crescita di domanda per beni e servizi non agricoli producibili in zone rurali, e aumentata domanda di alimenti da parte dei produttori di tali beni e servizi. Il Twin Track comprende due filoni:
1) Interventi di urgenza per far fronte alle situazioni più critiche di sottonutrizione, migliorando l’accesso al cibo delle popolazioni più vulnerabili;
2) Promozione di programmi sostenibili di sviluppo rurale «a base larga», centrati su quattro assi principali: Infrastrutture, Formazione, Tecnologia appropriata, Generazione e diffusione di conoscenze.
Chi fosse interessato ad una descrizione più articolata, può consultare l’Anti-Hunger Programme della Fao (Roma, novembre 2003), reperibile presso il sito http://www.fao.org .
«La fine delle povertà?». Materiale del seminario dell’Associazione «Incontri»