Beatiful, trent’anni dopo. Come ti sdogano trans e non solo

Per tirarla avanti trent’anni bisogna inventarne di tutte. E Beautiful, la soap opera statunitense andata in onda per la prima volta il 23 marzo 1987, ne ha inventate di tutte davvero, senza porsi limiti, nel tentativo di tenere viva una storia impossibile. Qualche tempo fa gli autori si sono inventati persino il primo transessuale delle telenovelas (che qualcuno in Toscana chiamava «telenovelle»). Una delle protagoniste, Maya, era stata un uomo, si chiamava a suo tempo Myron. A rivelarlo la sorella minore, Nicole. Per arrivarci un’intera puntata a suon di «ora lo dico, non lo dico, sto per dirlo, ma aspetto a farlo…».

La tecnica, insomma, è sempre la stessa: ripetitiva e noiosa. Si tratta però dell’ingranaggio giusto per catturare lo spettatore a patto che non perda nemmeno una puntata. Anche se, di fatto, dall’inizio alla fine, succede ben poco, ma grazie a qualche espediente di vicenda, sembra che la situazione possa continuamente capovolgersi e per capire la puntata successiva è sempre necessario aver visto la precedente. Da qui anche la scelta, fatta a suo tempo e mantenuta, della fascia oraria dell’ora di pranzo (in questo momento sta andando in onda su Canale 5 dal lunedì al venerdì dalle 13.40 alle 14.10) pensando che fosse la più libera dalla concorrenza, ma soprattutto che fosse gestita (nel senso di colui che sceglie i programmi) da qualche altro componente la famiglia che non fosse quello della sera dopo cena (generalmente il capofamiglia). Si pensò così alla donna di casa che sicuramente gestiva la fascia del pranzo e del dopo pranzo dando garanzie di continuità, oltre ad essere maggiormente predisposta a seguire storie che non erano altro che la trasposizione televisiva dei fotoromanzi.

In Italia Beautiful, creata da William J. Bell e Lee Phillip Bell per la Cbs, va in onda dal 4 giugno 1990, prima su Rai 2 e in seguito, dal 5 aprile 1994, su Canale 5. Sempre nel 1994 fu brevemente trasmessa anche in prima serata da Rete 4. Attualmente gli episodi arrivano da noi con un ritardo di sei mesi e mezzo (circa 130 puntate) rispetto alla messa in onda negli Stati Uniti.

In ogni caso, dopo tanti anni, siamo ancora alle prese con quella vecchia tecnica, fatta di riprese quasi tutte in interno (gli esterni, sempre gli stessi, servono solo per gli stacchi). Per quanto poi riguarda la versione italiana, siamo alle prese anche con un doppiaggio approssimativo e continue interruzioni pubblicitarie.

Insomma, seguire Beautiful intorno alle due del pomeriggio è un’impresa. E anche nel caso specifico preso in esame ci volle un bel po’, al limite della sopportazione, costretti all’alternanza di altri lenti e melensi dialoghi, per arrivare all’affermazione attesa: «Tu non sei mia sorella. Tu sei mio fratello. Ho fatto delle ricerche. Ho visto il certificato di nascita. Ti hanno dato il nome di nonno Avant». E giù lacrime.

Fu così che anche la telenovela d’ambientazione non a caso californiana varcò, con il suo stile melodrammatico esasperato, un primo confine sdoganando, come detto, il primo personaggio trans nella storia del genere televisivo. Bradley Bell, produttore e capo sceneggiatore spiegò il tutto con un predicozzo della serie che quello che conta è l’amore: «Alla fine, ciò che vogliamo è essere amati, e per amare qualcuno devi prima amare te stesso. Se sei transgender, gay, eterosessuale, non ha importanza. Si tratta di trovare l’amore. E questa è una storia d’amore».

Pur inchinandoci a cotanta saggezza, restiamo dell’idea che anche Beautiful, che di confusione sui sentimenti ne faceva già abbastanza, da quel momento ha contribuito a farne altrettanta e forse di più con l’ideologia gender contrabbandata con la finzione televisiva. Anche perché nelle puntate successive è spuntata pure la maternità surrogata con il desiderio di Maya di avere un figlio che in qualche modo avesse il suo stesso sangue. Per questo, lei e il marito Rick hanno chiesto a Nicole (sempre lei, la sorella minore di Maya) di essere per loro la madre surrogata nonché la donatrice dell’ovulo in modo che la sorella (ex fratello) possa condividere un figlio biologicamente legato sia a lei che al compagno. Ovviamente nel corso delle puntate gli elogi per il gesto di Nicole si sono sprecati: «Non ho mai ricevuto un atto d’amore così grande», dice Maya a proposito della sorella; «Ci fa il regalo più grande che potessimo mai immaginare», aggiunge il cognato Rick.

Nicole, sottoposta all’inseminazione artificiale, rimane subito incinta. Ma c’è anche Zende, il suo ragazzo, che ha acconsentito all’intervento dopo molti dubbi e perplessità. Non per questo ha smesso di frequentarla. Ecco allora l’incognita sulla paternità del nascituro. Nicole potrebbe anche essere incinta di Zende. E se questo non bastasse, sbuca imprevista pure un’altra sorella di Nicole: Sasha, pronta a creare nuovo scompiglio prima di rivelarsi nella vera identità. Ma poi sono successe tante altre cose. Insomma, chi più ne ha più ne metta per trascinare avanti una vicenda che ha realmente i toni dell’assurdo. Da sempre. Adesso, però, il problema è che il confine sdoganato con il primo personaggio trans nella storia del genere televisivo, viene ampiamente oltrepassato con questo incredibile caso di utero in affitto (o in prestito… trattandosi di sorelle).

Si dirà che tutto è falso, tutto è spettacolo. Non c’è dubbio. Ma a suon di finzione sono anni che la tv crea mentalità. E sugli oltre trecento milioni di telespettatori, in cento Paesi, che ogni giorno ancora seguono Beautiful (la soap opera più seguita al mondo) non c’è da scommettere che siano tutti sufficientemente attrezzati per non ritenere la maternità surrogata un gesto d’amore come vuole farci credere la telenovela e come hanno tentato e tentano ancora di farci credere ben altri programmi, quelli presunti d’approfondimento, anche in questi giorni in cui assistiamo allo strappo dei Tribunali in materia d’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

A.F.