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Rubrica: Risponde il teologo

15 Dicembre 2010

A quale testo «originale» si rifanno le traduzioni dell’Antico Testamento?

di Archivio Notizie

Perchè le traduzioni cristiane dell’Antico Testamento si basano sulla versione dei «Settanta», che nella tradizione ebraica è ritenuta non corretta, e non sul Codice di Aleppo?

Davide Chessa Risponde Giovanni Ibba, docente di ebraicoLa traduzione dell’Antico Testamento è oggi fatta dall’ebraico (e dall’aramaico, per quanto riguarda alcune parti del libro della Genesi e di Daniele; dal greco, per quanto riguarda i deuterocanonici) anche se è probabile che molte delle prime comunità cristiane usassero la versione dei «Settanta», a cura della comunità ebraica di Alessandria (che era una traduzione dall’ebraico, non un testo in qualche modo «originale»), soprattutto perché per loro più facile da comprendere (e questo tra l’altro spiega la disposizione di molti testi: è probabile che la comunità cristiana abbia seguito in linea di massima l’ordine dei libri secondo la traduzione dei Settanta, anche se però ci sono differenze importanti). È chiaro però che in epoche successive, quando i cristiani non parlavano più il greco, furono fatte traduzioni della Bibbia nelle lingue correnti, come il latino e, in altre zone geografiche, come il siriaco, i copto, il gotico, l’armeno il georgiano, l’arabo e lo slavo. Queste comunità cristiane da quale versione traducevano la Bibbia? La così detta Vetus Latina, la versione latina antica, usava probabilmente delle versioni in greco, a differenza della Vulgata di Gerolamo (fine IV secolo) che si basa sull’ebraico per i testi dell’Antico Testamento. Ma anche qui il discorso si fa complesso, soprattutto di fronte a questo enorme lavoro di traduzioni che, fra le altre cose, ha coinciso con la nascita della scrittura di alcune tradizioni linguistiche.

Il Magistero, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, ha sottolineato l’importanza, nelle traduzioni della Bibbia, di tenere sempre presente l’evoluzione delle così dette scienze bibliche, che comprendono molte competenze come la filologia, l’archeologia, la codicologia, la linguistica, la critica testuale ecc. Per cui non c’è, da parte del Magistero, una preferenza precostituita rispetto a un codice o a un altro, ma una forte attenzione alle fonti, le quali devono essere il più possibile antiche e, per quello che si può comprendere, vicine a un ipotetico «originale» (che è spesso per il filologo un vero e proprio mito).

II problema delle traduzioni della Bibbia è oggi al centro di importanti ricerche, soprattutto dopo la scoperta di molte copie di testi biblici nelle grotte di Qumran, che ha voluto dire avere a disposizione copie in ebraico di tali testi precedenti ai codici ebraici fino ad allora utilizzati. La critica testuale sta fornendo molte notizie sulla formazione dei libri biblici, per cui, sul piano prettamente scientifico e storico, non si può parlare di fonti più corrette di altre. Per esempio sembra evidente che il testo dei Settanta, pur trattandosi di traduzione, presenta significative coincidenze con alcuni manoscritti biblici ebraici di Qumran, che sono assai più antichi dei codici che generalmente abbiamo preso in considerazione prima della scoperta dei rotoli del Mar Morto. In ogni caso, come detto sopra, il testo dell’Antico Testamento in latino fu fatto da Gerolamo dal testo ebraico (ad esclusione dei deuterocanonici o apocrifi), non da quello greco.

Come avrà capito, la questione del canone è dibattuta, ma in senso positivo. Il Magistero promuove per questo fortemente gli studi biblici, per quanto siano complessi. Infine, è vero che in alcune tradizioni cristiane (in particolare le Chiese Orientali), il testo greco dei Settanta è stato accolto come testo fondamentale, ma il discorso, anche qui, è molto complesso e richiederebbe uno spazio che qui non è possibile avere. Al riguardo però aggiungo solo che è «usato», per esempio nella liturgia, in greco e senza traduzione.

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