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Rubrica: Risponde il teologo

12 Settembre 2020

Commento al Vangelo della domenica: il perdono senza limiti è un’arte che si impara

di don Mariano Landini

«Perdonare è divino!». Con questo titolone di prima pagina se ne uscì un noto giornale laico il 28 dicembre 1983, con in primo piano la foto di papa Giovanni Paolo II che parlava confidenzialmente con il suo attentatore Alì Agca, che era andato a trovare il giorno prima nel carcere di Rebibbia per dirgli che lo aveva perdonato. Un giornale non cattolico aveva centrato in pieno l’essenza del Dio cristiano che, se si chiama Amore, non può che avere come cognome Perdono.E proprio il perdono è al centro della liturgia della parola di questa domenica. Inizia a proporci questo tema uno scriba giudaico del II secolo A.C., Yehoshua ben Sirach (il Siracide), il quale afferma che il rancore verso il fratello interrompe il nostro dialogo con Dio: se tu pedoni, anche Dio ti perdonerà, e viceversa.Sì, però quante volte dovremo perdonare il fratello che ci ha offeso? Si chiedevano i pii israeliti e i più arditi arrivavano a concepire la possibilità di perdonare fino a tre volte; un bel progresso, se abbiamo presente il terribile brano di Genesi 4, 24 dove si dice che Lamech sarà vendicato settanta volte.Forte di queste considerazioni, il solito esuberante Pietro, per farsi bello davanti a Gesù, la spara grossa: dovrò perdonare fino a sette volte? E Gesù, probabilmente scuotendo la testa: non hai capito niente Pietro… devi perdonare settanta volte sette, cioè sempre. L’unica misura dell’amore è amare senza misura e, quindi, anche perdonare senza limiti.Poi Gesù, per ribadire questo concetto, racconta la parabola del padrone che condona al suo servitore la cifra esorbitante ed esagerata di 10 mila talenti (un talento valeva più di 34 chili di metallo prezioso, oro o argento), il quale però poi esige da un suo debitore la somma di trenta denari (un denaro corrispondeva circa alla paga di un giorno di lavoro), che è pure cospicua, ma assolutamente non paragonabile al debito che gli era stato rimesso.Il Padre celeste ci perdona sempre e tutto, come ci testimoniano soprattutto le parabole del figliol prodigo e della pecorella smarrita: come possiamo noi non perdonare chi ci fa del male?Si può obiettare: facile perdonare le piccole offese, ma di fronte alle grandi… Non è vero! L’esperienza c’insegna che quella del perdono è un’arte che si assimila con la pratica; a perdonare s’impara perdonando. Se c’impegniamo a perdonare le piccole offese, saremo allenati a perdonare anche le grandi: questa è la prima educazione che ogni genitore dovrebbe impartire, soprattutto con l’esempio, ai propri figli. Le vicende del figlio di Bachelet che alle esequie prega per gli uccisori del padre o della vedova di Taliercio che fa altrettanto o della figlia di Moro che va a trovare in carcere Adriana Faranda e Valerio Morucci, i terroristi che gli avevano ucciso il padre, non sono meteore, ispirazioni improvvise, ma frutto di un’educazione e di una vita vissuta sotto l’egida del perdono.Non esiste quindi su questa terra una via migliore del perdono per testimoniare la nostra fede perché, appunto, perdonare è divino, come capì bene quel titolista laico di 37 anni fa.

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