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Rubrica: Risponde il teologo

25 Luglio 2007

Del prete non possiamo proprio fare a meno

di Archivio Notizie

A.A.A. preti cercasi. Chissà se troverebbe risposta un annuncio del genere? Eppure potrebbe essere un «tentativo»… e poi, si potrebbe metter su un’associazione per la «salvaguardia della specie», tipo il Wwf… Scherzi a parte, io sono profondamente convinta che dei preti non possiamo proprio farne a meno: testimoni forti del Vangelo, in un mondo che con il suo fragore soffoca la «brezza leggera», preti coraggiosi, in prima linea, a favore dei poveri e degli emarginati, instancabili nel diffondere la gioia di una vita spesa amando la gente, padri dell’umanità intera. Un grazie sincero per questi uomini che operano quotidianamente, nutriti dalla speranza della fede, ma che certamente hanno anche bisogno di sentirsi riconosciuti e sostenuti.

S.

Risponde p. Valerio Mauro, docente di Teologia SacramentariaLa gratitudine della lettrice chiede prima di tutto un sentimento reciproco. Un grazie altrettanto sincero a lei, non tanto per le parole elogiative, quanto per la consapevolezza che nessuno nella Chiesa può fare a meno dei fratelli. Una dimensione costitutiva della comunità ecclesiale è proprio questa reciprocità di relazioni vissuta intorno al Vangelo, all’interno della quale vivere il dono della comunione nella diversità dei doni personali.

Oggi avvertiamo con particolare acutezza l’urgenza delle parole di Gesù: «La messe è molta ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe» (Lc 10,2). Queste parole hanno accompagnato la Chiesa nella sua storia, dai tempi delle prime persecuzioni all’espansione missionaria nel mondo intero, fino ai giorni di oggi quando nuove situazioni culturali e sociali la interrogano sempre di più, mettendola alla prova nella fedeltà al Vangelo e nell’ascolto dei «segni dei tempi». In più di duemila anni, la figura del prete ha assunto diverse modulazioni, conservando pur sempre alcune costanti. Penso che sia un punto sul quale bisogna riflettere continuamente. Ogni tempo ha avuto la sue figure di prete, a volte distanti nella forma di esercizio del ministero, eppure così uguali sotto alcuni aspetti. La descrizione fatta dalla lettrice mette in luce una di queste costanti. Descrive l’atteggiamento di cura amorosa che molti preti hanno avuto verso le persone loro affidate o incontrate lungo i sentieri della vita. Ancora ai nostri giorni ogni singolo prete dovrà cercare modalità nuove per vivere la sua antica missione: stare accanto alla sua gente. Proprio come lo Spirito inviato dal Risorto, che è detto «paraclito», letteralmente colui che è «chiamato accanto». La presenza del prete accanto alla gente è chiamata ad essere una presenza spirituale, cioè nello Spirito del Risorto, Spirito di pace e consolazione, di perdono e riconciliazione.

Un secondo aspetto delineato, sia pure con un breve accenno, è la «speranza della fede» del prete. La vocazione del prete coniuga in modo quasi paradossale la dedizione a Dio e agli uomini. Per certi aspetti non vi è figura di credente che sia al tempo stesso così dedita agli uomini come a Dio. La preghiera che Gesù ci invita a rivolgere al Padre perché mandi operai nella messe mette in primo piano la necessità di motivazioni soprannaturali per la vocazione di ogni ministro della Chiesa. È come se ogni prete dovesse entrare in sintonia con la gratuità assoluta di Colui che l’ha chiamato a servire il Regno. Penso che in questo accento di gratuità dovremmo riscoprire il senso di ogni vocazione di consacrazione al Regno, secondo la parola di Gesù: gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Forse, senza voler giudicare nessuno, alla radice di molte defezioni dal ministero stanno motivazioni iniziali non del tutto purificate. Forse, perché la perseveranza è sempre un dono da custodire. Sono, però, convinto di come nella società occidentale dei giorni nostri la concretezza della missione del prete sia sottoposta, sotto molti aspetti, a pressioni inevitabili e doverose da affrontare. Occorre una solidità interiore tanto umana quanto spirituale per mantenersi fedeli a quanto promesso e ricevuto.

Infine, nella lettera si accenna al riconoscimento che la missione del prete dovrebbe avere da parte della comunità. Qui potremmo trovare la sintesi dei due punti precedenti. Nella misura in cui la vocazione del prete è radicata in Dio e si nutre della consapevolezza di essere amati da Lui, il primo e immediato riconoscimento alle sue fatiche sarà proprio nell’amore ablativo, verso Dio e il prossimo, che i suoi fedeli vivranno. Come amo ripetere spesso, il miglior modo per ringraziare di un dono ricevuto è l’uso affezionato di quello stesso dono. Così, se un prete si è speso per la sua gente, ha trasmesso con la sua vita e le sue parole la grandezza dell’amore di Dio e la bellezza del Vangelo, il primo riconoscimento per le sue fatiche sarà proprio la vita evangelica della sua gente, la loro capacità di comunione, di fede, di speranza.

Questa lettera ci ha dato modo di riflettere sulla missione dei preti all’inizio di un periodo di pausa. Ma esistono innumerevoli persone che, per le più svariate circostanze o condizioni di vita, non possono permettersi una pausa, nemmeno breve. Sono loro la messe del Signore. Preghiamo, dunque, perché il Padrone della messe continui a mandare operai per la sua messe, preti che ogni giorno rispondano di sì alla fatica che viene loro richiesta.

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