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Rubrica: Risponde il teologo

29 Agosto 2007

Quel Dio «violento» dell’Antico Testamento

di Archivio Notizie

Perché Dio, che è Amore, ha tollerato, e talvolta avallato, così tanta violenza nell’Antico Testamento? Una delle principali critiche mosse all’islam è che il corano istiga e incoraggia palesemente alla violenza… Esempio: Sura Al-Imran, versetto 127 «Il Signore vi farà vincenti, e ciò per uccidere ed umiliare i miscredenti, i quali saranno così perdenti in questa e nell’altra vita»… ma anche la bibbia contiene passi analoghi… (preferisco non riportare frasi estrapolate senza il relativo contesto, ma converrà con me che non mancano frasi molto simili…).

Marco

Risponde don Stefano Tarocchi, docente di Sacra ScritturaIl lettore pone una domanda preziosa, che qui provo a riassumere, consapevolmente e momentaneamente ampliandone la portata: com’è possibile comprendere Dio alla luce di molte pagine dell’Antico Testamento che sembrano indicarne un atteggiamento condiscendente verso la violenza, se non addirittura alla radice della violenza stessa? Forse che nei testi sacri, in questo caso comuni ad ebrei e cristiani, si possono trovare tratti di quel fondamentalismo che una lettura esclusivamente letterale – anche nell’Islam – utilizza per giustificare un atteggiamento aggressivo nei confronti di coloro che non appartengono alla propria fede? In sostanza, in qualunque fede Dio può esser messo alla base della propria violenza? Dio stesso, può addirittura «diventare» violento, come si intitolava un saggio di Giuseppe Barbaglio, biblista recentemente scomparso (Dio violento? Lettura delle Scritture ebraiche e cristiane, Cittadella, Assisi 1991).

Il tema è straordinariamente complesso – e il lettore non me ne voglia se sono andato oltre al suo quesito – e in pari tempo attuale, anche solo per cercare di capire le culture con le quali ci confrontiamo, qui da noi e nel vicino Oriente. Ma implica anche una comprensione del significato per noi cristiani delle Sacre Scritture e della loro interpretazione. E qui ritorno al quesito preciso del lettore.

Una risposta esauriente la indica il documento conciliare sulla parola di Dio: la Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione, conosciuta (forse non abbastanza!) come la Dei Verbum. Al n. 15 dice: «I libri dell’Antico Testamento, sebbene contengano anche cose imperfette e temporanee, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina». E il numero seguente continua: «Dio, ispiratore e autore dei libri dell’uno e dell’altro Testamento, ha sapientemente disposto che il nuovo fosse nascosto nell’antico e l’antico diventasse chiaro nel nuovo» (DV 16), come affermava s. Agostino. Se «Dio nella sacra Scrittura – dice ancora la Dei Verbum – ha parlato per mezzo di uomini, in maniera umana, l’interprete deve ricercare … quello che gli scrittori sacri – i veri autori letterari insieme all’Autore divino – hanno inteso significare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare» (DV 12). E il concilio rimanda al modo di esprimersi proprio di una cultura lontana da noi nello spazio e nel tempo (i «generi letterari»). Si tratta di un’indicazione preziosa per evitare di rinchiuderci in una pericolosa interpretazione letterale, che tradisce anziché favorire la comprensione di un dato testo. Fermiamoci qui, rimandando alla lettura completa del Concilio, per fare alcune considerazioni.

Dio si fa conoscere agli uomini anche in quei testi che inquietano le nostre coscienze. Prima di giudicarlo con metri inadeguati, occorre capire il suo modo graduale (la «divina pedagogia») di condurre gli uomini alla pienezza della Rivelazione, quella, per intenderci – ed esprimerci, con s. Paolo nella lettera ai Romani – dove si è salvi non per la Legge, ma solo per la fede nella morte e risurrezione di Cristo.

Ma, si potrebbe obiettare: allora la violenza «tollerata», «avallata» o «provocata» da Dio è solo un genere letterario, un modo di descriverlo? Non è così semplice. Sempre seguendo Paolo, possiamo dire c’è stato un tempo in cui Dio ha tollerato il male in vista della conversione dell’uomo (Rom 2,4). Oppure il testo biblico usa un linguaggio di violenza, distinguendone fra l’altro varie forme, per indicare l’impossibilità di compromessi tra Lui e le altre divinità. Sempre che queste non esistano solo nella mente dell’uomo ancora in cammino verso la pienezza della Rivelazione.

Comunque sia, la «violenza» di Dio – come del resto la sua ira e la sua magnanimità – non può esser cancellata dalle S. Scritture, neanche per non turbare alcune menti troppo sensibili. Se vi è finita, occorre tenere presente che fra le righe – espresso nella cultura e nel linguaggio che ci ha consegnato quelle pagine – c’è scritto molto di più di ciò che appare: l’infinita passione di Dio per l’umanità peccatrice che ha amato così com’era. In sostanza, una lettura più approfondita del testo, permette di evitare i rischi di una interpretazione letterale, da un lato o «troppo» spirituale, dall’altro. E ci restituisce il senso di un prezioso dialogo anche con le altre fedi, oltre che farci riappropriare delle nostre radice più profonde.

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